Recensione La trattativa (2014)

Affrontando lo spinoso tema della trattativa stato-mafia, Sabina Guzzanti dirige un'opera al confine tra i linguaggi, ambiziosa ma onesta: la sua lettura degli ultimi 20 anni di storia italiana è una delle tante possibili, ma l'artista romana non abdica al ruolo di indagine, e proposta di interpretazione, che un cinema come il suo dovrebbe sempre far proprio.

Intorno alla nuova regia di Sabina Guzzanti, dopo le polemiche provocate da Draquila - L'italia che trema e la breve esperienza televisiva di Un due tre stella, c'erano in parti uguali curiosità e timori. La prima si lega al fatto che, piaccia o no, la poliedrica artista romana si è ritagliata in questi anni un posto di tutto rilievo in quel territorio di confine, sempre più ibrido, che si pone tra satira, fiction, spettacolo e cronaca; il suo racconto ininterrotto, articolato tra vari media, della realtà italiana dell'ultimo ventennio, e l'ostracismo che questo le ha spesso provocato, bastano a renderla una personalità da seguire con attenzione, checché si voglia pensare delle sue tesi.

I timori, invece, erano legati in modo diretto ai motivi che hanno generato la curiosità: conoscendo l'impeto declamatorio dell'artista, la foga con cui propone la sua lettura della realtà, la generosità spesso fuori dalle righe che emerge dai suoi lavori, i rischi di un'opera mancante di equilibrio c'erano tutti. Particolare non trascurabile, inoltre, La trattativa rivela ambizioni non da poco: il film della Guzzanti si propone infatti di raccontare (dal punto di vista storico, e non da quello giudiziario, ancora da scrivere) uno dei capitoli più controversi e oscuri della recente storia del nostro paese. Capitolo legato a doppio filo al presente, all'attuale realtà della società italiana, a una perdurante crisi politica, sociale e morale di cui nessuno, attualmente, ignora la portata. Il film della Guzzanti, evento fuori concorso dell'attuale Mostra del Cinema di Venezia, ha tutti i contorni dell'opera rischiosa.

Al confine tra i linguaggi

La trattativa: una scena del film
La trattativa: una scena del film

Dal punto di vista strettamente cinematografico, il film fa un'interessante opera di contaminazione tra i media di cui l'artista si è servita nel corso di questi anni; ibridando il linguaggio del documentario con quello della fiction e del teatro, in un "gioco" che ammicca continuamente a chi guarda, permettendosi digressioni, cambi di registro, salti senza soluzione di continuità tra diegesi e cronaca. Il film si apre come un'opera di pura fiction, con una sequenza ambientata in un carcere che vede protagonista uno dei più noti (e discussi) pentiti di mafia degli ultimi anni; poco dopo, tuttavia, uno schermo digitale si accende, il boato di un'esplosione spazza via l'irreale quiete di quello che si rivela come un set teatrale, e la cronaca irrompe nella fiction. La Guzzanti cita, senza timori reverenziali, Elio Petri e il suo cortometraggio Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli, interpretato da Gian Maria Volonté: ne riprende l'incipit e lo ricontestualizza, dichiarando nel contempo un analogo intento divulgatorio. Le impressionanti immagini, ormai fissatesi nella memoria collettiva, delle stragi di mafia del '92-'93, si alternano alla voice over dell'artista, che racconta e ricostruisce le tappe di un suo percorso attraverso l'ultimo ventennio. Mescolati a ciò, senza soluzione di continuità, spezzoni di interviste e parti di pura fiction, animate da attori quali Enzo Lombardo e Ninni Bruschetta; questi ultimi reinterpretano, a volte in modo letterale, a volte caricaturale (con frequenti interpellazioni dirette allo spettatore) alcuni frammenti di quella lunga storia.

La lettura della storia

La trattativa: Sabina Guzzanti sul set del suo film
La trattativa: Sabina Guzzanti sul set del suo film

Abbiamo appena accennato al fatto che Sabina Guzzanti, affrontando il tema della trattativa stato-mafia, propone un suo percorso di lettura degli eventi, costruisce collegamenti, avanza ipotesi e suggerisce interpretazioni. In questo, La trattativa non ha (e non vuole avere) natura di "documentario": se gli eventi narrati, ivi compresi quelli che coinvolgono alte personalità dello Stato, sono tutti reali e documentati, le loro connessioni, e il quadro complessivo che ne deriva, sono opera dell'artista romana. In questo, sia ben chiaro, non c'è nulla di scorretto o arbitrario: nel film stesso, d'altronde, la Guzzanti dichiara chiaramente che la verità processuale, ancora da scrivere, è operazione da tenere strettamente separata dalla verità storica; a questa, tutti i cittadini sono tenuti a partecipare, e il cinema può svolgere in questo senso un ruolo prioritario. Vista in quest'ottica, va detto, La trattativa risulta essere un'opera equilibrata e nient'affatto declamatoria: la regista non "bara" e non confonde mai la ricostruzione filologica della storia con i suoi interventi su di essa, utilizzando nel modo migliore l'arma dello straniamento per ricordarci che stiamo guardando, pur sempre, uno dei tanti percorsi interpretativi possibili. Tuttavia, la Guzzanti dimostra di aver affinato, nel migliore dei modi, "il mestiere", e dà al film un notevole ritmo: la sua narrazione scorre veloce, si lascia seguire come un racconto noir di dimensioni epiche, mostra una compattezza, nell'estrema varietà dei materiali da cui è composta, che lascia avvinti e stupiti. La trattativa è opera didattica, di divulgazione e interpretazione della storia, ma è anche e soprattutto cinema; ed è in questo senso, e con questi strumenti, che riesce a coinvolgere lo spettatore.

Conclusioni

Una foto di Sabina Guzzanti al photocall de La trattativa a Venezia 2014
Una foto di Sabina Guzzanti al photocall de La trattativa a Venezia 2014

E' facile immaginare che un film come La trattativa provocherà polemiche, e che le posizioni aprioristiche su di esso, dopo la sua visione, finiranno per radicalizzarsi. Tuttavia, il film della Guzzanti, va detto e sottolineato, non vuole essere ciò che non è: non pretende di dire una parola definitiva su ciò che racconta, ma di contribuire, nel suo piccolo, a indagare su un pezzo di storia italiana. Che lo faccia con tanto stile, e vigore, non può che essere considerato un risultato positivo.

Movieplayer.it

3.5/5