I servizi segreti di Amburgo, la cui squadra operativa è guidata da Gunther Bachmann, sono in preallarme: nella città, infatti, ha appena fatto il suo ingresso Issa Karpov, ceceno in fuga dalla Russia, figlio di un noto terrorista islamico. L'uomo, entrato nel paese in clandestinità, ha trovato riparo presso una famiglia di immigrati turchi, e viene da questi messo in contatto con Annabel Richter, avvocato che si occupa di diritti civili. Il suo scopo, entrare in contatto col banchiere Tommy Brue, il cui padre aveva fatto una vecchia promessa al padre di Karpov.
Bachmann, però, non è tanto interessato a Karpov, quanto al sedicente filantropo musulmano Faisal Abdullah; l'agente è infatti convinto che le ricche donazioni, che giungono con costanza alla sua fondazione, vadano in parte a finanziare le attività terroristiche di Al Qaeda. Bachmann, così, organizza un complesso piano che coinvolge Karpov, la Richter e Brue, con lo scopo di smascherare l'attività di Abdullah e arrestarlo. Per far ciò, dovrà convincere i suoi superiori, ma anche gli americani, che nel frattempo hanno messo gli occhi su Karpov, a non arrestare l'uomo, ritenuto da questi pericoloso: la speranza è che la fiducia che la fiducia che Karpov ripone nella Richter, e la promessa fatta alla donna che il suo cliente avrà l'immunità, possano incastrare Abdullah e rivelare la vera natura della sua organizzazione.
Un tributo che perpetua il mito
L'uscita di La Spia - A Most Wanted Man, thriller spionistico diretto da Anton Corbijn, si è caricata dell'inevitabile hype che da sempre accompagna le prove "postume" degli attori scomparsi. Perché, se è vero che il (mai abbastanza) compianto Philip Seymour Hoffman apparirà anche nel prossimo Hunger Games: Il Canto della Rivolta - Parte 1, è innegabile che il film di Corbijn si ponga un po' come il suo testamento artistico: vuoi per il fatto che il ruolo dell'agente Gunther Bachmann è il suo ultimo da protagonista, vuoi per i punti di contatto, veri o presunti, ravvisabili tra l'uomo e il personaggio. In casi come questi, ovviamente, si tende a fare forzature, e a caricare una semplice interpretazione di valenze mitiche, o profetiche, che restano puramente immaginarie. Sarebbe comunque impossibile, anche se Hoffman fosse ancora tra noi, parlare de La spia senza evidenziare la sua prova: l'ennesima performance maiuscola, che mette in ombra persino un altro gigante (qui un po' sacrificato dallo script) come Willem Dafoe. Il personaggio di Bachmann sembra attagliarsi perfettamente all'attore: una spia con l'anima del poliziotto anni '40, forte bevitore, apparentemente cinico, con un'ombra di malinconia sempre presente sul volto. Consapevole del degrado morale, dei compromessi a cui porta (anche) il suo lavoro, ma non per questo meno deciso a svolgerlo al meglio; persino convinto di potervi introdurre (e qui la sua ingenuità) un elemento di lealtà e moralità. Un personaggio che la sceneggiatura mutua al meglio dal romanzo originale di John Le Carré, massimizzando il suo peso nella storia.
L'autunno della colpa
Cercando di prescindere da un Hoffman che monopolizza, anche inconsciamente, l'attenzione dello spettatore, va evidenziato che La spia presenta altri indubbi motivi di interesse. Corbijn, regista dall'occhio attento e dall'indiscutibile gusto visivo (la sua provenienza dalla fotografia si vede tutta) è abile a cogliere i dettagli di una Amburgo autunnale, dolente e poco propensa alla fiducia, quanto gran parte dei suoi personaggi. Nei suoi colori, la fotografia evidenzia la sfiducia di un mondo occidentale al tramonto, ancora scosso dagli attentati dell'11 settembre 2001 (l'anno di ambientazione della storia non è specificato, ma il romanzo è datato 2008, e la vicenda si svolge probabilmente qualche anno prima); nonché il disorientamento di una città ancora non in grado di capacitarsi di aver allevato, nel suo seno, alcuni dei jihadisti che diedero vita a quell'azione. Nelle azioni di Bachmann, del suo "strumento" Karpov, persino dell'idealista Annabel Richter (che ha il volto di un'efficace Rachel McAdams) si avverte questa consapevolezza in tutta la sua pesantezza; unita alla difficoltà a leggere un mondo che ormai, nella sua complessità e opacità, non risponde più alla semplice teoria dello scontro di civiltà, a quella di un mero affidamento alla trascendenza, o a quella altrettanto semplicistica di una pura difesa dei diritti umani. La città, mappata dalle telecamere che ne spiano gli eventi, o meglio la loro superficie, è lì a leccarsi le ferite, come la variegata umanità che la abita.
Partita a scacchi con la spia
Corbijn, rispetto alla sua precedente prova nel thriller (The American, datato 2010) mostra qui una presa decisamente migliore sulla materia. Chiamato a dirigere una storia di spie, in cui l'azione è elemento puramente accessorio (per non dire assente: tracce se ne vedono solo nei minuti finali, improntate comunque a un sostanziale realismo) il regista mette in scena il film come una partita a scacchi; in questa, la trama escogitata da Bachmann si contrappone all'imprevedibilità della sua "esca", ai dubbi morali di Annabel, alla vacuità cieca del banchiere di Dafoe, e alla pericolosa spregiudicatezza dell'alleato americano. La buona tensione narrativa che pervade il film è garantita da una sceneggiatura (opera di un attento Andrew Bovell) ottimamente congegnata nei suoi incastri, che privilegia la tenuta generale dell'intreccio all'approfondimento dei singoli personaggi. In questo senso, ferma restando ovviamente la preponderanza del personaggio interpretato da Hoffman, dispiace un po' che resti più in ombra del dovuto la figura del giovane ceceno, con la sua decisiva evoluzione nel corso della trama; nonché lo stesso banchiere interpretato da Dafoe, i cui dubbi interiori possiamo solo intuire. Il regista, da par suo, controlla la sua tendenza al formalismo (frutto dei suoi trascorsi, oltre che nella fotografia, in una lunga e proficua carriera di autore di videoclip) limitandosi a dare il volto voluto alla città teatro della storia, e a mettere in scena con sicurezza una partitura complessa nella sua costruzione, quanto in fondo semplice (e amara) nei suoi esiti.
Conclusioni
E' piuttosto ovvio che gran parte del pubblico andrà a vedere La spia - A Most Wanted Man per godere un'ultima volta di un talento prematuramente spezzato, com'è stato quello di Philip Seymour Hoffman. In questo senso, il film di Corbijn non ha certo bisogno del nostro endorsement. Resta comunque, il suo, un thriller spionistico di buona fattura; che, anche quando sacrifica la definizione di alcuni caratteri, tiene alta la tensione nei suoi 120 minuti di durata, grazie soprattutto a un'attenta gestione del suo intreccio.
Movieplayer.it
3.0/5