Recensione L'arbitro (2013)

Sulle note della splendida 'Vivere', canzone storica composta nel 1937 da Cesare Andrea Bixio, e cullato dalle musiche evocative composte da Andrea Guerra, il film di Zucca gioca col calcio e palleggia col cinema dimenticandone i dogmi e le regole ma esaltandone l'estro e la bellezza.

Dio perdona, l'arbitro no

Lo chiamano 'il principe', per i suoi modi garbati e per la postura elegante con cui affronta la direzione delle sue gare e con cui segnala corner, punizioni e calci di rigore. Parliamo dell'arbitro Cruciani, 'fischietto' arrivato ad arbitrare incontri ai più alti livelli internazionali, che si muove sul prato leggiadro e fluttuante, quasi danzando tra le linee dei più prestigiosi campi di calcio d'Europa. Ma proprio quando il sogno di arbitrare una finale europea sembra essere molto vicino, ecco che la sua integrità morale e il tanto invocato rispetto del regolamento vengono messi da parte per lasciar posto all'ambizione. In tutt'altro scenario gioca invece le sue partite l'Atletico Pabarile, senza dubbio la squadra più scarsa della terza categoria sarda, che continua a subire le umiliazioni dell'imbattibile Montecrastu, lo squadrone capitanato dall'odioso fazendero Brai, altezzoso e avido proprietario terriero della zona. A risollevare le magre sorti del Pabarile sarà Matzutzi, un giovane talento del pallone che dopo un lungo periodo in Argentina fa ritorno nel paese d'origine. Con l'obiettivo di fare breccia nel cuore di Miranda, la bisbetica figlia dell'allenatore cieco del Pabarile, il goleador dall'accento sudamericano prende in mano la squadra e partita dopo partita riesce a portarla ad un passo dalla vittoria del campionato nonostante i tentativi di boicottaggio del Montecrastu. Si giocheranno tutto nella finale, sfida all'ultimo sangue in cui le due squadre si affronteranno a viso aperto e senza esclusione di colpi, ignorando che a dirigere la gara sarà un arbitro internazionale in cerca di redenzione, spedito per punizione negli inferi della terza categoria dopo un grave illecito sportivo...


Faide, fischietti, amori, dribbling, pecore, cavalli e palloni gonfiati. Tutto insieme ne L'Arbitro, il film d'esordio dello sceneggiatore Paolo Zucca concepito come sviluppo e ampliamento dell'omonimo cortometraggio che gli è valso nel 2009 il David di Donatello e il prestigioso Premio della Giuria al Festival Internazionale del Cortometraggio di Clermont-Ferrand. Girato tra Cagliari e il paese di origine del regista nella provincia di Oristano, L'arbitro è in tutto e per tutto un atto d'amore nei confronti del calcio e un omaggio allegorico alla controversa figura del giudice di gara, un uomo solo e indifeso chiamato a gestire piccoli grandi poteri, ad essere super partes e a prendere decisioni che possono influire sulla carriera dei calciatori senza mettere in conto che anche la sua è a tutti gli effetti una carriera.

Un po' western, un po' commedia e un po' musical, L'arbitro è una ballata in bianco e nero (scelta rischiosa ma affascinante) che tra il romantico, l'epico e il grottesco ci racconta la fragilità umana di fronte al potere, alla sconfitta e alla vittoria, un intrattenimento di grande pregio visivo che con un tocco di leggerezza e di estro narrativo ci restituisce, estremizzandole, la sacralità e le liturgie di uno sport che a qualsiasi livello riesce a coinvolgere le masse, a costruire e a distruggere, a divertire e a far paura, a unire e a dividere. L'ancestralità dello sport e le rivalità sul campo si legano a doppio nodo con i codici arcaici del mondo pastorale e alle atmosfere misteriose che si respirano nell'imperscrutabile entroterra sardo, luoghi popolati da uomini e donne che non si arrendono mai, soprattutto di fronte alle ingiustizie.
Ottima la scelta del cast, che amalgama alla perfezione attori non professionisti compaesani del regista, appesantiti e adorabilmente autentici, con attori di grande esperienza (Geppi Cucciari, Stefano Accorsi, Marco Messeri, Benito Urgu, Alessio Di Clemente e Francesco Pannofino nei panni esilaranti dell'arbitro Mureno) che rendono particolarmente briosa la parte comica della storia in special modo nell'ultima mezz'ora, dal momento in cui le vicende dell'arbitro Cruciani e quelle dell'Atletico Pabarile si intrecciano dando vita ad un farsesco e spumeggiante carosello. Cineasta dal grande talento visivo e dallo sguardo disincantato, Zucca riesce a mixare generi e registri diversi confezionando un film capace di dire la sua nell'ostico panorama calciocentrico e conciliando in maniera surreale il microcosmo della terza categoria con il macrocosmo delle competizioni internazionali, il tutto in una storia completamente astratta dalla realtà e dal tempo. Se la cava egregiamente Stefano Accorsi nei panni dell'arbitro Cruciani: con la sua mimica facciale, il suo fisico statuario e la sua bizzarra gestualità a metà tra il serio e faceto, riesce a restituire in maniera divertente e divertita la figura chiave del film, un uomo combattuto tra il rispetto delle regole e il suo egocentrismo che un po' per ingenuità e un po' per dolo finisce nel girone dei dannati. Sulle note della splendida 'Vivere', canzone storica composta nel 1937 da Cesare Andrea Bixio, e cullato dalle musiche evocative composte da Andrea Guerra, il film di Paolo Zucca gioca col calcio e palleggia col cinema dimenticandone i dogmi e le regole ma esaltandone l'estro e la bellezza.

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3.0/5