Recensione Jodorowsky's Dune (2013)

Utilizzando un linguaggio classico ed essenziale, il regista fissa la telecamera e lascia che a compiere il miracolo della narrazione e della suggestione sia lo stesso regista cileno. Così, alla tenera età di ottantaquattro anni lo psicomago dimostra di avere ancora le qualità per rendere tangibile anche quello che al momento è privo di forma.

La leggenda del film che non c'è

Quando si parla di Dune il pensiero va immediatamente al film girato dal visionario David Lynch a metà degli anni Ottanta. Ma dietro questa realtà cinematografica si aggira lo spettro di un altro progetto che, oltre a precorrere i tempi, avrebbe portato sul grande schermo un'universo ancora più fantascientifico di quello immaginato dallo scrittore Frank Herbert. Stiamo parlando del mitologico film desiderato e organizzato in ogni minimo particolare da Alejandro Jodorowsky che, scontrandosi con un budget altissimo e con la reticenza delle grandi major, ha finito con il rappresentare una delle più grandi occasioni perse da Hollywood. Però, come una fine prematura è capace di trasformare dei semplici attori in icone immortali, così la non realizzazione ha fatto di questo progetto futuristico una vera e propria leggenda. Per anni, infatti, si è ipotizzato sull'esistenza o meno del film fino a quando Frank Pavich non ha deciso di dissolvere ogni dubbio e di svelare con il documentario Jodorowsky's Dune tutti i retroscena di un sogno che non venne mai girato. Utilizzando un linguaggio classico ed essenziale, il regista fissa la telecamera e lascia che a compiere il miracolo della narrazione e della suggestione sia lo stesso autore cileno. Così, alla tenera età di ottantaquattro anni lo psicomago dimostra di avere ancora le qualità per rendere tangibile anche quello che al momento è destinato a rimanere privo di forma.

All'attivo ha solamente un enorme storyboard interamente realizzato a suo tempo dal genio del fumetto francese Jean giraud, scelto ed eletto come guerriero spirituale. Ed è proprio attraverso queste tremila inquadrature disegnate che Jodorowsky torna indietro al 1974 per ricomporre finalmente il montaggio ideale di un'avventura che sarebbe dovuta durare ben 14 ore. Questo, più il coinvolgimento nel cast di personalità indubbiamente complicate da gestire come Salvador Dalì e Mick Jagger, devono aver irrigidito le posizioni produttive dell'epoca, ancora lontane dall'avvento dell'epica tolkeniana firmata da Peter Jackson. Sta di fatto, però, che di fronte al suo Dune, lontani anni luce dal flop di Lynch, questo grande vecchio lascia scorrere tutto l'entusiasmo trattenuto in quasi quarant'anni di attesa. Per questo motivo, pur essendo un prodotto costruito classicamente attraverso le testimonianze dei diretti interessati, il documentario di Pavich non cede mai alla noia mantenendo un ritmo alto e coinvolgente. A produrre questo incanto è, senza alcun dubbio, la ricostruzione di un mistero cinematografico ma, più di ogni altra cosa, tutta la forza espressiva mostrata dal suo realizzatore mancato.
Perché attraverso lo sguardo acceso, l'armonioso movimento delle mani ed un'energia narrativa ancora lontana dall'esaurirsi, Jodorowsky rende tangibile il suo film, riscrivendolo, girandolo e producendolo direttamente sotto gli occhi dello spettatore. A sostenerlo chiama, anche se con la forza della memoria, quegli alleati scelti non esclusivamente per motivi artistici, ossia il disegnatore Moebius e il direttore degli effetti speciali O'Bannon. Così assemblando la materia fantascientifica con propositi esistenzialisti, questo Dune dimostra che il talento visionario, anche se non apprezzato nell'immediato, è destinato a produrre comunque i suoi frutti. Artisticamente raffinato e definito nei minimi particolari, il progetto non ha preso forma ma ha contribuito a cambiare sostanzialmente e formalmente il mondo della fantascienza cinematografica. Anzi, da Blade Runner, passando per Alien fino al più attuale Prometheus, ogni regista sembra aver sfogliato tra le pagine di questo immenso storyboard traendone ispirazione, se non dal punto di vista narrativo, sicuramente da quello estetico. Perché, nonostante la sua occasione mancata nel mondo dello spazio, Jodorowsky è ad oggi l'uomo che è stato capace di vedere il futuro senza averne alcun timore.

Movieplayer.it

4.0/5