Recensione Il paradiso degli orchi (2013)

Nicolas Bary, pur non essendo visionariamente ardito come Pennac e non avendo il medesimo tocco noir, può ritenersi soddisfatto di aver prodotto un'opera capace di esprimere un gusto estetico preciso, come quello della commedia fantastica francese, e di non aver dimenticato nemmeno per un attimo l'ironia arguta dell'autore.

Vita di un capro espiatorio

Benvenuti nella famiglia Malaussène. Qui i figli sono molti e i padri vaghi e invisibili. Così, a una madre sempre in viaggio e dedita agli innamoramenti improvvisi, corrisponde un nucleo bizzarro formato da una ragazza dalla dolce bellezza, un'adolescente occhialuta, Therèse, con la dote di leggere futuri catastrofici nei tarocchi, Jeremy, ragazzino fin troppo geniale e il piccolo di casa che, con i suoi disegni apocalittici sul Natale, mette a dura prova l'esperienza della sua psicologa. Il quadro generale è completato da Julius, un cagnone dalla natura mite che rifiuta categoricamente di mangiare fagiolini. Questa è la quotidianità disordinata ma chiassosamente colorata che Benjamin, il maggiore di tutti, deve affrontare al suo ritorno nel piccolo appartamento di Belleville. Responsabile degli apparati tecnici di uno dei più lussuosi grandi magazzini nel centro di Parigi, il ragazzo inventa storie fantastiche per attrarre l'attenzione dei suoi fratelli più giovani e per ravvivare un lavoro altrimenti noioso e, praticamente, invisibile. Così, anche un'esplosione improvvisa in cui rimane coinvolto un uomo del personale, deve essere arricchita dalla presenza di giraffe giganti e da un suo eroico intervento. In realtà, però, il mite Benjamin nasconde un segreto che, per contratto, non potrebbe rivelare a nessuno, tanto meno alla sua famiglia.


Infatti, sotto la rassicurante giacca con il logo dell'azienda, batte un cuore ancora più tenero da capro espiatorio. Ma in cosa consiste questa figura professionale atipica e mantenuta sotto costante copertura? Facile. Malaussène non deve far altro che correre al richiamo dell'ufficio lamentele e sottoporsi, volontariamente, alle finte sfuriate del suo responsabile al fine di evitare qualsiasi possibile denuncia ai grandi magazzini. Un lavoro, in fondo, poco impegnativo ma che comincerà a costargli un prezzo troppo alto quando misteriose esplosioni e conseguenti omicidi verranno automaticamente addossati su di lui. In questo modo, mantenendo intatti a grandi linee intreccio e caratterizzazione dei personaggi, il cinema si è impossessato di uno tra i romanzi più evocativi, umoristici e fantastici usciti dalla penna di Daniel Pennac. Pubblicato nel 1985, Il paradiso degli orchi, oltre ad essere il primo capitolo del ciclo dedicato a Malussene, nasconde tra le sue pagine un innegabile talento cinematografico. Solitamente, nel rapporto tra letteratura e grande schermo, la prima riesce sempre a vincere per completezza emotiva, ma raramente nasconde un potenziale visivo tanto ardito e innovativo da lanciare una sfida proprio sul piano della costruzione scenografica e l'utilizzo dell'immagine. Per questo Nicolas Bary, pur non essendo visionariamente ardito come e non avendo il medesimo tocco noir, può ritenersi soddisfatto di aver prodotto un'opera capace di esprimere un gusto estetico preciso, come quello della commedia fantastica francese, e di non aver dimenticato nemmeno per un attimo l'ironia arguta dell'autore.

Un risultato ottenuto ANCHE grazie alla scelta della luce e del colore vibrante, che caratterizza il mondo del grande magazzino, in contrapposizione a una Parigi esterna fotografata nell'ombra grigia di nuvole e pioggia. In questo modo il luogo sempre ben organizzato, ma sostanzialmente artefatto, dello store si trasforma nella vera scena dell'azione, mentre la realtà al di fuori appare costantemente sullo sfondo. Ma il paradiso del consumismo, il posto dove si raggruppano i desideri materiali di adulti e bambini può essere veramente considerato una wonderland dove tutto può avverarsi purché si paghi? La risposta non può che essere negativa anche se non completamente dolorosa, visto che a darla è lo sguardo stupito con cui Raphael Personnaz porta sullo schermo la fiduciosa goffaggine di Malaussène. Con i suoi grandi occhi azzurri pronti a interpretare la realtà con una disarmante tenerezza che non sfocia mai nell'idiozia, il protagonista lascia che il suo personaggio trovi maggiore espressione nell'incontro con la rossa e moderna Berenice Bejo. Giornalista per professione e curiosa per natura, la sua " zia Julia" conquista il cuore di Benjamen e dello spettatore con la forza di uno spirito capace di vivere esattamente a metà strada tra la realtà e l'universo parallelo dei Malaussene dove i neonati appena arrivati dormono tranquillamente dentro il cassetto di un comò. Anzi, questo è ciò che accade nel mondo di Pennac caratterizzato da infinite possibilità in cui, però, gli orchi non si trasformano mai in fate rassicuranti.

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3.0/5