Vivere nella paura
Apre con il bianco dei titoli di testa il primo film in concorso alla 66ma edizione del Festival di Cannes, ma questa purezza è solo un'illusione, perchè basta la prima inquadratura di Heli, l'immagine di un anfibio sul volto ferito di un ragazzo che giace al suolo, accompagnata da tutta la prima, lunga, drammatica sequenza a far capire che il tono del terzo film di Amat Escalante è tutt'altro che puro e innocente.
È un prologo che immerge subito lo spettatore nell'atmosfera dura e diretta del film e culmina in una brutale impiccagione da un ponte, i motivi della quale verranno spiegati in tutta la prima parte della pellicola, che funge da lungo flashback a quel drammatico e crudo momento.
Conosciamo quindi Heli, il personaggio che dà il titolo al film e ne rappresenta l'anima portante: operaio in una fabbrica d'auto, Heli vive con la giovanissima moglie ed un bimbo piccolissimo, oltre che con il padre e la sorella dodicenne. È tramite quest'ultima, Estela, ed il suo fidanzatino diciassettenne, che prende il via la sequenza di eventi che porterà a contatti con il mondo della droga, all'impiccagione del titolo, passando per un omicidio, un triplice rapimento, torture e le inevitabili sofferenze che ne conseguono.
La fabbrica stessa è qualcosa di presente in Heli: sempre marginale ed in secondo piano, ma protagonista indiretta, capace di influenzare le vite dei cittadini ed in particolare dei suoi dipendenti. Persone, come la famiglia del protagonista, che si trovano costrette a condividere spazi ristretti e che cercano di adattarsi al nuovo stile di vita ed alle sue regole (o assenza delle stesse). E' questo il punto focale della storia di Escalante, quell'attenzione all'aspetto psicologico della vicenda piuttosto che ai dettagli di ciò che avviene, quel chiedersi come sia vivere in un costante clima di paura per i soprusi che giorno dopo giorno vengono subiti e che l'autore cerca di rappresentare nel film.
Con messa in scena molto ben costruita, cast per lo più di non protagonisti, immagini evocative e quasi assenza di musiche, Escalante ci immerge in quel particolare spaccato del Messico e ci tiene a sottolineare la natura umana dei torturatori, spesso addirittura dei ragazzini, per far sì che lo spettatore affronti quella realtà. Ma nel farlo finisce per catalizzare troppo l'attenzione su quell'unico aspetto della storia, affidandosi ad immagini fin troppo esplicite e realistiche, distogliendola dal dramma di chi quei soprusi li subisce.
Ed è in questo che Heli non si può considerare riuscito, per l'incapacità di creare un legame empatico con i personaggi che lo animano, per il non riuscire a suscitare tristezza e sofferenza per quello che vivono, senza andare oltre l'inevitabile pugno nello stomaco per il modo in cui la violenza è rappresentata.
Movieplayer.it
3.0/5