Recensione Grazia e furore (2011)

Il documentario possiede la stessa caparbietà dei suoi 'interpreti' e trasmette agli spettatori emozioni genuine; merito della regista, capace di sviluppare il racconto alternando cronaca spicciola e vero sentimento; Heidi Rizzo ci regala una piccola storia di vittorie conquistate senza tradire sé stessi. Lontano dai riflettori.

Vizi (vincenti) di famiglia

Non esiste doping nel mondo di Fabio e Gianluca Siciliani, due fratelli salentini campioni mondiali di Muay Thai, la boxe thailandese. Una bella bistecca può servire a ritrovare le forze perdute in combattimento e se prima di un importante torneo in terra d'Oriente viene offerto un pranzo non proprio ortodosso, si declina l'offerta gentilmente. I due protagonisti di Grazia e Furore, documentario firmato da Heidi Rizzo, presentato nella sezione Extra - L'altro cinema, sono la quint'essenza dell'italianità. Amano la mamma, il buon cibo, la famiglia intesa in senso tradizionale, eppure sono riusciti a costruirsi una solida reputazione dall'altra parte del mondo, in quella terra esotica in cui questa nobile arte si è sviluppata e che li ha accolti con generosità. Nato da un'idea di Alessandro Valenti, il film segna il debutto registico della Rizzo, camerawoman di esperienza ultradecennale, soprattutto al fianco di Edoardo Winspeare, che figura tra i produttori assieme a Gustavo Caputo. E ci troviamo di fronte ad un lavoro davvero notevole, forte e pulsante come la vita vera sa essere.

Scritta raccontando sei giorni dell'esistenza di Fabio e Gialuca, nell'arco di due anni, l'opera della regista si muove tra i due estremi che compongono il titolo. Non è solo il furore di quest'arte marziale a manifestarsi nel film, la sua prorompenza tutta muscolare, ma (soprattutto) la grazia; quella incarnata dalla moglie di uno dei due protagonisti, insegnante di danza classica e quindi armonica rappresentazione del rapporto tra cuore e muscoli e quella che invece traspare dalle belle parole di Sangtiennoi Sor Rungroj, campione mondiale di Muay Thai e maestro dei due pugili, una figura a cui è affidato il compito di raccontare il mistero di uno sport così particolare. Un mistero che risiede, anche in questo caso, nella mescolanza di interiorità ed azione. "E' una disciplina interiore - racconta, - che mescola forza e morbidezza". Noto anche come Thai Boxe, questo sport affonda le radici in un'antica tecnica di lotta orientale, spesso utilizzata da re e soldati in guerra. Nel 1945, dopo anni di lunghe discussioni, vengono introdotte le categorie di peso, i round e i guantoni; a questo punto anche i match si spostano sul ring, abbandonando le strade e le piazze. Dalla Thailandia, poi, la diffusione internazionale è stata notevole.
Per raccontare al meglio questo mondo particolarissimo, i cui confini spaziano da Lecce a Bangkok, la Rizzo usa un stile per nulla artificioso, molto diretto, che non lascia mai spazio alla retorica. Assistiamo ai combattimenti di Fabio e Gianluca e ad alcuni momenti della loro vita quotidiana, sistematicamente scandita dagli allenamenti e soprattutto al loro innamoramento per una cultura lontanissima e solo in apparenza distante, diventata col tempo un vero ideale da perseguire con ostinazione. E' cominciata quasi per gioco per Fabio che a 16 anni, impressionato dalle immagini di alcuni boxeur, decide di intraprendere un percorso fatto di sacrifici e privazioni, ma premiato dai successi (è campione mondiale Wako-Pro di Muay Thai) e dall'amore di una donna, Enrica, affermata ballerina, che accantona la sua carriera per affiancare il marito nella gestione della palestra Oltrecorpo. E visto che vincere può essere un vizio molto piacevole, anche il fratello Gianluca segue le orme di Fabio, conquistando tre titoli iridati e uno intercontinentale di Muay Thai. Grazia e Furore possiede quindi la stessa caparbietà dei suoi 'interpreti' e trasmette agli spettatori emozioni genuine. Merito della regista, capace di sviluppare il racconto alternando cronaca spicciola e vero sentimento. Heidi Rizzo ci regala così una piccola storia di vittorie, conquistate senza tradire sé stessi. Lontano dai riflettori.

Movieplayer.it

3.0/5