Morire come non si è potuti vivere
Carlotta e Mattia sono fratelli. Due bravi ragazzi, ma senza un soldo in tasca. La passione di lei è la danza, eppure entrare a far parte di un corpo di ballo stabile, per non accontentarsi di dimenarsi in un night club nell'attesa che venga chiuso a causa di una retata, sembra ormai un'utopia. Lui, un po' troppo spontaneo e irruento per accondiscendere a un datore di lavoro intransigente e inutilmente puntiglioso, ha però dalla sua una forte capacità di adattamento, nonché l'attitudine al fare buon viso a cattivo gioco. E' merito di Mattia, quindi, se i due trovano un impiego come lavamorti presso l'agenzia funebre del dottor Pavan. Tra una confessione e l'altra del titolare, anche la reticente Carlotta inizia a vedere il proprio lavoro per quello che è, e quindi non tanto come un'occupazione macabra, di cui vergognarsi, ma come un compito di grande responsabilità, da affrontare con animo sensibile e atteggiamento responsabile. Anche per questo, quando lei e il fratello rinvengono un diario segreto che rivela l'aspirazione all'avventura di un rispettabile bancario, Carlotta non è del tutto convinta che prepararlo per il funerale vestendolo da motociclista sia una buona idea. Ma Mattia è irremovibile: nell'estremo saluto si ha diritto a esprimere la propria natura più vera, nonostante a volte sia quella che abbiamo dovuto nascondere per tutta la vita. Dopo il comprensibile shock iniziale, la trovata di Mattia inizierà a riscuotere un grande successo, e i due fratelli si troveranno catapultati, grazie alla loro originale e coraggiosa idea, nel campo della piccola imprenditoria.
Il film diretto e interpretato da Asia Giordano ha il pregio di trattare in maniera ironica il tema della necessità di trovare una propria strada nella vita, in una società in cui si è spesso costretti ad aggiustare il tiro e a ridimensionare le proprie aspettative infantili. E' un film in cui si sottolinea, giustamente, l'importanza di saper reinventare se stessi, di maturare, di trovare uno scopo e un senso nelle occasioni che la quotidianità offre, anche le più improbabili, senza lasciarsi annichilire dalla sensazione di fallimento che subentra quanto un sogno tanto amato rimane sempre ugualmente lontano, dall'immobilismo dato dalla consapevolezza di avere poche speranze di raggiungerlo. Ma, se le intenzioni sono lodevoli, la loro messa in scena doveva essere affrontata con più precisione e padronanza del mezzo cinematografico. Non sono tanto le interpretazioni degli attori, per quanto a tratti ingenue, a costituire il punto debole di Gran finale, quanto una sceneggiatura sfilacciata, su cui la regista sembra non avere il completo controllo, tanto da perdersi in tante sottotrame che, se pur cariche di spunti interessanti, soffrono di un'attenzione altalenante che non riesce a valorizzarle appieno. Il tema della spiritualità, della morte, della malattia sono avvicinati con delicatezza e sensibilità, ma le riflessioni cui si lascia andare il film rimangono poco più che suggerimenti, non riescono ad arrivare allo spettatore con la dovuta incisività. Anche il buon lavoro svolto in tema di caratterizzazione dei personaggi rischia di essere sottovalutato a causa dello stesso atteggiamento in qualche modo distratto, che ne abbandona uno per approfondirne un altro, lasciando aperti troppi interrogativi e troppe possibilità.Seppur inconsueto e dotato di una piacevole impronta umoristica, Gran finale soffre di una certa inesperienza nella messa in scena, e perde parte della propria forza, quella di guardare alla vita e al futuro con speranza nonostante tutto, lasciandosi andare con troppa facilità al melodramma. Con una maggiore coesione della sceneggiatura e disperdendo meno energie in digressioni non necessarie, il film della Giordano avrebbe espresso, con tutta l'efficacia che meritano, le proprie intenzioni positive.
Movieplayer.it
2.0/5