Recensione Fish & Cat (2013)

Mokri traduce il discorso sul tempo in una struttura narrativa circolare, in cui il pallino del gioco finisce di volta in volta a tutti i personaggi; una soluzione geniale in termini di messa in scena, ma anche di drammatizzazione.

C'è una strada nel bosco

Un gruppo di ragazzi in campeggio, un bosco spaventoso, un ristorante che nasconde un terribile segreto. Sembra l'incipit del più classico degli horror, ma è solo il preludio di una delle esperienze cinematografiche più coinvolgenti vissute fino ad ora a Venezia. Fish & Cat, diretto dall'iraniano Shahram Mokri, presentato nella sezione Orizzonti del Festival, è un viaggio alla scoperta delle nuove possibilità del Settima Arte. Girato con camera digitale in piano sequenza, ossia con una ripresa non interrotta da stacchi, il film si propone come doppia riflessione. La prima, stilistico/linguistica, sul senso del tempo e del cinema come arte in grado di riprodurre completamente la realtà nel suo fluire, che è forse la grande illusione legata al piano sequenza. L'altra, etica, se vogliamo più semplice, ma non meno importante, sul cannibalismo come metafora di una società che mira all'eliminazione completa dell'altro in nome del guadagno.
I protagonisti sono degli 'aquilonisti' che si radunano sulle rive di un lago nella regione caspica, per celebrare il solstizio d'inverno con una gara.

Sono belli, possiedono cellulari e computer di ultima generazione, studiano, rappresentano la meglio gioventù dell'Iran. Eppure intorno a loro si consuma l'orrore, nascosto in quella capanna in cui tre uomini, titolari di un ristorante, cucinano carne umana. Mokri traduce il discorso sul tempo in una struttura narrativa circolare, in cui il pallino del gioco finisce di volta in volta a tutti i personaggi, fino alla chiusura finale. Si ritorna sempre allo stesso punto di partenza, per poi 'vedere' la storia con gli occhi di ognuno di loro, una staffetta che il cineasta utilizza per attorcigliare il tempo del racconto, facendolo scorrere indietro e avanti. E' una soluzione geniale in termini di messa in scena, ma anche di drammatizzazione, poiché il pedinamento degli attori, seguiti senza soluzione di continuità dalla macchina da presa fa crescere la tensione e incrementa lo spaesamento per l'avvicinamento di un epilogo tragico, costantemente annunciato e mai realizzato, almeno non nel modo canonico.
Non è un caso, quindi, se il regista abbia citato le scale di Escher tra le sue ispirazioni, muovendo tutte le pedine a sua disposizione in una scacchiera realistica nel suo aspetto esteriore (il film è tratto da un vero fatto di cronaca), ma perturbante nel contenuto profondo. Il bosco dove dovrebbe essere salutato l'inizio di un nuovo anno, diventa quindi il teatro di uno scempio e anche un palcoscenico popolato da spiriti, forse di persone che lì sono state uccise e che fanno sentire la loro voce e che si rivelano solo a pochi 'fortunati'. L'elemento 'sovrannaturale', che poco comprendiamo nella parte centrale del film, diventa fondamentale nell'epilogo, che il regista rende poetico nonostante la pesantezza, lasciando che a parlare sia la musica di una canzone, quella del titolo. Senza mostrare un singolo atto di violenza, Fish & Cat racconta di un Iran perso tra la spinta alla modernità rappresentata dai giovani protagonisti e il cannibalismo delle vecchie generazioni, pronte a gettarsi come avvoltoi sui più deboli; tutto questo presentato attraverso una sofisticata analisi del mezzo cinema e delle sue intrinseche e potenzialmente inesauribili risorse.

Movieplayer.it

4.0/5