Senza esclusione di colpi
Il mito del self made man americano si riflette sul topos della vendetta in un revenge movie atipico tesissimo quale è Blue Ruin. Il film, diretto da Jeremy Saulnier, esperto direttore della fotografia qui alla seconda regia, è una pellicola sorprendente che declina in modo originale un argomento complesso e tipicamente made in USA quale è la vendetta privata. Saulnier dimostra non solo di saper gestire con sicurezza la tensione, ma tratta una materia ampiamente esplorata dalla settima arte con sguardo diverso. In particolare il tema dell'uomo comune solo contro tutti assume nuovi contorni grazie alla notevole interpretazione di Macon Blair. L'attore è la prima scelta di Saulnier in virtù dell'amicizia che li lega, ma anche delle sue straordinarie doti espressive. Blair, che non ha certo il physique du role del macho avvezzo alle armi, subisce nel corso del film un'incredibile trasformazione fisica che contribuisce a evidenziarne la forza drammatica in un lavoro che lo vede presente in quasi tutte le scene. Il film si apre, infatti, con il protagonista Dwight, sciatto e barbuto, intento a pescare per procacciarsi il cibo, dormire in una Pontiac, vagare per i boschi e sfuggire alla civilità per quanto gli sia possibile. Presto scopriremo che la morte violenta dei genitori è la causa della sua deriva sociale. Dopo questo intrigante incipit, la violenza esplode cieca e improvvisa quando Dwight decide di punire in modo sanguinoso e rocambolesco il killer dei suoi, innescando una faida che avrà esiti devastanti.
Le scene di culto non si contano in una pellicola dove la violenza non è grafica, ma brutale, lucida e crudele. Con il suo gesto impulsivo, Dwight si attira addosso le ire della famiglia del killer scatenando una caccia all'uomo senza esclusione di colpi. Il tutto nella più totale solitudine. In parte la ragione dipende dal fatto che il film, un thriller very low budget, fa fruttare al massimo gli elementi che ha disposizione. A eccezione di Macon Blair, tutti gli interpreti compaiono di fronte alla macchina da presa per un tempo limitato. In più occorre considerare che quella che ci troviamo di fronte è la messa in scena dell'incubo americano per eccellenza. Nell'America ruvida e settaria della Virginia o del Maryland sono in molti a possedere armi pronti, se necessario, a usarle senza alcuno scrupolo. Le istituzioni sono completamente assenti, altrettanto invisibili sono le comunità. Ogni uomo deve bastare a se stesso, ogni famiglia è un clan i cui membri si proteggono a vicenda senza l'aiuto di nessuno. Curiosamente l'unica poliziotta compare in una delle primissime scene, ma questa è un eccezione in un film stretto intorno al suo protagonista, racchiuso in una spirale di cieca violenza. Blue Ruin è ambientato in gran parte in interni, il che attribuisce alla pellicola una dimensione claustrofobica e crepuscolare, ma anche le scene en plein air, se si escludono quelle iniziali, sono altrettanto soffocanti. Le angolazioni della macchina da presa, il montaggio parossistico, le inquadrature insistite su dettagli, occhi, mani, piedi, racchiudono lo spettatore in una morsa rendendolo partecipe della stessa ansia che attanaglia Dwight. Jeremy Saulnier dimostra di avere un ottimo controllo del mezzo e dirige con mano sicura, senza incertezze, attingendo al genere senza che ciò gli impedisca di sfoderare uno sguardo personale. Tra orrori, aggressioni e sparatorie, non mancano momenti di grottesca ironia. Il regista non rinuncia a un'alternanza di registri in un film che corre veloce verso un finale da brividi dando spazio a personaggi pittoreschi come il corpulento ex compagno di scuola di Dwight che colleziona (e usa) armi d'assalto. Una figura molto, troppo comune, tra gli americani medi intenti a difendere il loro diritto ad armarsi fino ai denti, costi quel che costi.Movieplayer.it
4.0/5