Recensione Anonymous (2011)

Un esordio, quello di Emmerich nel genere del period drama, che basterebbe a conferire un qualche motivo di interesse a un film che nasce da una sceneggiatura scritta, ormai un decennio fa, da quel John Orloff che fu autore dello script di una serie acclamata come Band of Brothers.

L'importanza di chiamarsi William

Amleto, Romeo e Giulietta, Lady Macbeth, Re Lear, e tanti altri. Una galleria di personaggi, e di opere, che formano nel loro complesso la massima espressione della cultura inglese nella storia, un patrimonio universalmente riconosciuto e giustamente venerato come una delle maggiori manifestazioni della creatività, e dell'intelletto, umani. È difficile pensare a un soggetto più passabile di suscitare polemiche, anche violente, negli ambienti accademici britannici, di quello di questo Anonymous, che solleva e risolve a suo modo un dubbio vecchio di secoli sulla reale paternità del corpus di opere attribuito a William Shakespeare. Ed è anche difficile pensare a un regista teoricamente meno affine a un progetto del genere, che abbia un soggetto come questo meno nelle sue corde, del Roland Emmerich che finora ha divorato i botteghini con i suoi blockbuster fanta-catastrofici, da Independence Day a The Day After Tomorrow - L'alba del giorno dopo fino a 2012. Un esordio, quello di Emmerich nel genere del period drama, che basterebbe a conferire un qualche motivo di interesse, e curiosità, a un film che nasce da una sceneggiatura scritta, ormai un decennio fa, da quel John Orloff che fu anche autore dello script di una serie acclamata, e premiata, come Band of Brothers. La sceneggiatura di Orloff, nel suo complesso ben orchestrata, si rivela in effetti il principale punto di forza di questo film, malgrado l'abbraccio acritico di una tesi (ma questa è materia per storici più che per critici cinematografici) che si presta facilmente ad accuse di complottismo e di scarsa credibilità. Tra le tante ipotesi alternative sulla reale identità dell'uomo che si celava dietro alla firma di Shakespeare, il film sceglie infatti quella che vede Edward de Vere, Conte di Oxford, come autore dell'intero corpus di tragedie e commedie attribuite al Bardo di Stratford-Upon-Avon, e costruisce intorno ad essa una complessa vicenda di lotte politiche, intrighi di corte, amori e tradimenti; tutti ruotanti intorno alla successione della ormai anziana regina Elisabetta e alla sua supposta relazione con lo stesso Conte, presentato come un geniale autore teatrale costretto prima a reprimere la sua passione, e poi a celare la sua produzione, a causa della puritana famiglia in cui è cresciuto.


La sovrapposizione dei piani temporali presente nel film, così come la sua strutturazione in un lungo racconto narrato, a teatro, dall'attore shakespeariano Derek Jacobi (tra i portavoce degli scettici sulla paternità delle opere del Bardo) si rivela in effetti un elemento interessante e riuscito, con una narrazione che copre con disinvoltura oltre un ventennio di storia. Lo spettatore resta inizialmente disorientato dalla varietà dei personaggi presentati e dalla complessità, un po' ostica da assimilare, delle loro relazioni, frutto di una rete di interdipendenze politiche e personali che si fa via via più intricata: tuttavia, la sceneggiatura gestisce bene questa matassa di vicende che mescolano amori, affetti, brame di potere e politica e che portano a una conclusione che ha, essa stessa, l'aspetto di una tragedia shakespeariana. E' proprio in questo elemento meta-linguistico che il film gioca le sue carte migliori e tenta contemporaneamente di dar forza alla sua tesi, che vede un Edward de Vere profondo conoscitore delle dinamiche e dei giochi di potere della corte, in grado di farne costante spunto e fonte di ispirazione per la sua produzione letteraria. In tutto questo stupisce la giustapposizione (invero un po' furba ed evidentemente provocatoria) tra il personaggio del Conte di Oxford, animo tormentato e compresso nelle sue ambizioni personali da un ambiente familiare ostile, pedina di un gioco che alla fine si rivela molto più grande di lui, e quello di un William Shakespeare che viene presentato niente più che come un avido approfittatore, pessimo attore quasi analfabeta ma uomo d'affari scaltro, che coglie abilmente l'occasione per scrivere il suo nome nella storia e che non esita a ricorrere finanche all'omicidio per difendere l'impero economico, e la fama, appena conquistati. Una contrapposizione che trova al centro il personaggio del drammaturgo Ben Jonson, inizialmente scelto dal Conte per firmare e tramandare ai posteri le sue opere e in seguito sconfitto dal furbo Shakespeare, ma presentato, a differenza di quest'ultimo, come individuo dotato di umanità e talento, che alla fine riuscirà a trovare il suo riscatto.

In un'opera tanto complessa, dipanata in una narrazione così elaborata, un regista come Emmerich sembra tuttavia trovarsi un po' a disagio. Abituato a stordire lo spettatore grazie alla strabordanza degli effetti speciali, a servirsi di una messa in scena tanto roboante e caotica da saturare i sensi e rendere superfluo il lavoro di regia in senso stretto, come quello di direzione degli attori, il regista di 2012 mostra limiti evidenti quando si tratta di gestire il ritmo narrativo, e di tenere alta la tensione, in un'opera in cui la scrittura e la recitazione hanno un ruolo preponderante. Il film rivela, paradossalmente, un ritmo lento e farraginoso, una messa in scena eccessivamente didascalica e un'impostazione visiva ingessata, quasi che il regista abbia avuto paura di imprimere i giusti tempi alla vicenda, di renderne eccessivamente torbida l'atmosfera, e si sia limitato a svolgere il compito di tradurre in immagini lo script; compito portato a termine in modo fin troppo scolastico. Nei suoi 130 minuti di durata, e nonostante la densità di eventi che mette in scena, Anonymous finisce paradossalmente, spesso, per annoiare. Sono comunque apprezzabili le scelte di casting, che vedono coppie di attori efficaci, e col giusto livello di affinità, a impersonare i vari personaggi nei due distinti periodi in cui la storia si svolge: Rhys Ifans e Jamie Campbell Bower nei panni del Conte, una sempre brava Vanessa Redgrave contrapposta a Joely Richardson in quelli di Elisabetta. Una menzione la merita anche l'ottimo David Thewlis (già visto nella saga di Harry Potter) in un ruolo sgradevole come quello del consigliere della regina William Cecil. Resta comunque una direzione degli attori, nel suo complesso, non sempre ottimale, che non riesce a imprimere il giusto pathos melodrammatico ad alcune delle sequenze a più alto coinvolgimento emotivo del film.
Non ci è dato sapere cosa sarebbe stato di Anonymous se al timone di regia ci fosse stato qualcun altro: certo, un progetto dai connotati così "europei" necessitava forse di una mano diversa, più raffinata e personale, di quella del regista tedesco trapiantato a Hollywood. Tuttavia, il tentativo di Emmerich va in certa misura premiato, seppur certamente non scevro da calcoli economici tesi a sfruttare un soggetto dal potenziale provocatorio molto alto. Se si è interessati, o almeno incuriositi, dall'argomento, il film merita comunque una visione, e la noia sarà probabilmente tenuta a bada: i meriti, comunque, sono più del soggetto che di una regia che non può certo dirsi memorabile.

Movieplayer.it

3.0/5