Recensione Amore carne (2011)

Amore Carne è una composizione di immagini e pensieri, capaci di trasformarsi in arte senza averne la presunzione e di utilizzare un linguaggio privo di intermediazioni in cui i termini morte e AIDS non si nascondono certo dietro dei sinonimi più raffinati e, soprattutto, meno evocativi.

Della morte e di altri pensieri

Secondo Jean-Luc Godard il cinema deve smettere di parlare di politica ed iniziare a realizzare dei prodotti che siano fortemente politici. Questo vuol dire portare a termine un lavoro di analisi più sofisticato che, anche attraverso il proprio percorso personale, sia in grado di offrire una visione sociale ben precisa priva di pudori e sterili critiche benpensanti. Così, seguendo gli insegnamenti di un maestro artistico e di una cultura, quella francese, che sembra essere stata tra le poche ad apprezzare le sue creazioni sperimentali, Pippo Delbono ha definito tutto il suo percorso cinematografico come regista.


Anzi, rifiutando l'utilizzo di qualsiasi ordine o struttura predefinita, sia dal punto di vista visivo che da quello tecnologico, definisce una nuova forma di comunicazione narrativa tanto intima e personale da non rischiare di essere considerata uno stile. Guerra, realizzato nel 2003, rappresenta il primo passo coraggioso verso questo cinema politico nato da forti esigenze personali che, andando oltre i torti e le ragioni del conflitto israeliano/palestinese, è riuscito a raggiungere le coscienze di entrambi mettendo sempre al centro l'uomo e le sue debolezze. Diversi eppure complementari sono Grido e La paura con cui l'attore e regista utilizza una narrazione personale per arrivare, quasi inaspettatamente, al cuore di una realtà universale. A chiudere, per ora, questo racconto in soggettiva del mondo esterno è Amore Carne che, a due anni dalla sua presentazione al Festival di Venezia nella sezione Orizzonti, lancia al pubblico la sfida di un cinema volontariamente fuori da qualsiasi riconoscibilità.

Anzi, più precisamente, stiamo parlando di una composizione di immagini e pensieri capaci di trasformarsi in arte senza averne la presunzione e di utilizzare un linguaggio privo di intermediazioni in cui i termini morte e AIDS non si nascondono certo dietro dei sinonimi più raffinati e, soprattutto, meno evocativi. Certo è che, per chiunque sia abituato a visioni di facile fruibilità dove tutto è il risultato di un teorema costantemente applicato e comprovato, il "disordine" strutturale di Delbono può rappresentare uno scoglio insormontabile contro il quale andare a sbattere. Se a questo, poi, si aggiunge la necessità dell'autore di affrontare dei quesiti e cercare delle risposte nella sperimentazione personale della realtà, si comprende facilmente come l'esperienza di Amore Carne possa diventare una scelta non facile da portare a termine.
E poco importa che il film sia stato realizzato con un semplice telefonino o con una piccola telecamera digitale. Ciò che realmente compone allo stesso tempo l'eccezionalità e la difficoltà di questo racconto è la forte intimità dello sguardo che, andando a toccare eventi personali e drammatici, posiziona l'obiettivo su di un esterno spesso incapace di agire e reagire adeguatamente alle necessità emotive dell'uomo. Un limite che, venendo a contatto con l'armonia gestuale di una danzatrice, con la profondità interpretativa di un'attrice come Tilda Swinton o con l'incompresa follia dell'inseparabile Bobò mostra senza troppi giri di parole la bruttezza di un mondo che, forse, siamo troppo abituati a sopportare o che, ancor peggio, contribuiamo a definire con un pizzico di incosciente leggerezza.

Movieplayer.it

3.0/5