Il paese delle peccatrici
Il 20 febbraio 1958 l'approvazione della Legge Merlin cambiò profondamente un costume che, per quanto discutibile, era entrato a far parte della vita degli italiani da molte generazioni. Stiamo parlando dell'esistenza delle case chiuse e del provvedimento che, prendendo il nome dalla parlamentare socialista paladina di questa lotta, decretò la chiusura dei così detti bordelli. Così, dopo aver festeggiato l'ultima notte di apertura con offerte speciali e saluti nostalgici, l'Italia si svegliò il giorno dopo forse moralmente più tranquilla ma inconsapevole di aver in qualche modo aggravato il problema. Perché se il cuore della discussione svoltasi in parlamento per oltre dieci anni era rappresentato dall'inaccettabilità di guadagnare sullo sfruttamento umano, mettere letteralmente in "libertà " un numero imprecisato di prostitute ha contribuito solo a dare forme più ingestibili e minacciose al fenomeno. Il fatto è che, abituate a sentirsi in un certo senso "protette" e "tutelate" dalla gestione della casa, queste ex schiave del piacere hanno accettato di sottostare a condizioni ben peggiori per quanto riguarda lo sfruttamento e l'incolumità fisica. Una situazione allarmante che, ancora oggi è fonte di grande discussione tra chi auspicherebbe un salto indietro di oltre cinquant'anni e quelli che non soffrono certo di nostalgia. Pareri personali e dibattiti a parte, la tematica dimostra di essere ancora viva e vivace. Non stupisce dunque, che, pur aggrappandosi alla ricostruzione storica, la Rai abbia sentito la necessità di aprire la stagione autunnale con una mini serie dalla forte potenzialità.
Per questo motivo, nonostante il titolo, il lavoro firmato da Marco Turco sembra, a prima vista, essere tutt'altro che d'Altri Tempi. Il regista, forte del successo ottenuto con C'era una volta la città dei matti con il quale ha raccontato l'impresa umana e professionale di Franco Basaglia, sfida ancora il tema legislativo e prova, andando oltre la storia e la cronaca, a narrare il volto di un paese alla disperata ricerca di un'identità dopo la disfatta delle seconda guerra mondiale. Ad affiancarlo nell'impresa è nuovamente Vittoria Puccini, chiamata a vestire i panni di Maddalena, peccatrice per antonomasia. Vittima di una violenza sessuale, la ragazza è costretta alla vita del bordello per mantenere la figlia nata da quell'abuso. Qui, grazie al sostegno di Duchessa, interpretata da Stefania Rocca, e delle altre compagne di sventura abbandonerà l'ingenuità della provincia per trasformarsi in Ninfa, la più richiesta della casa. Un'ascesa personale che la porterà a gestire uno tra i bordelli più esemplari del paese per norme igieniche e trattamenti umani visitato dalla stessa Merlin. Detto questo, però, è doveroso chiarire che, nonostante il tema centrale di questa serie in due puntate, la Rai non ha certo scelto di diventare "impavida" rinunciando ad uno stile famigliare e divulgativo che la contraddistingue fin troppo bene. Quindi non aspettiamoci una visione esplicita della sessualità o un atteggiamento volutamente scandaloso volto alla discussione sociale. Indubbiamente sarebbe stato interessante interpretare questo progetto attraverso la visione più spregiudicata della HBO, ad esempio, ma lo stile Rai è immutabile e indiscutibile. Così, ad una regia classica caratterizzata da primi piani, campi e controcampi si affianca una narrazione politicamente corretta dove centrale e irrinunciabile, come sempre, è la definizione e l'evoluzione del personaggio. Un processo creativo che, almeno in questo caso ha anche la sua valenza, considerando il sesso come punto di partenza e non d'arrivo dell'intero percorso. Però, come spesso accade nei prodotti italiani, il risultato finale non riesce a definire altro se non le caratteristiche del "santino" di turno, con tanto di illuminazione finale e redenzione dei peccati. Ancora una volta, dunque, il piccolo schermo si fregia di una tipica storia di casa nostra narrata con grazia attraverso ritratti femminili carichi di emotività ma che, oltre ad offrire l'ennesimo quadro storico, fallisce nel tentativo di costruire un ponte reale tra ciò che eravamo e ciò che siamo diventati.