Si stava meglio quando si stava peggio
Adriano Olivetti era un sognatore. Di una categoria rara, quella che i sogni li realizzano. Una figura eccezionale in cui confluivano talento imprenditoriale, creatività e responsabilità etica. L'industriale eporediese aveva capito che c'è tanto talento nel mondo, e che tanti singoli talenti protetti, coltivati e impiegati civilmente, portano il beneficio di molti. Adriano Olivetti: La forza di un sogno, la miniserie in due parti prodotta da Rai Fiction e Casanova Multimedia in onda il 28 e 29 ottobre su Rai 1 evoca, con candore apologetico, la vita di una delle figure della Storia recente più brillanti del nostro Paese, quell'Italia che oggi è tornata, in fatto di diritti del lavoratore, indietro di cinquant'anni. La miniserie - dal 3 novembre anche disponibile on demand sul sito Telecomitalia.com - illustra i successi di Adriano, ingegnere di Ivrea nato a inizio a secolo, pensatore politico, e idealista in grado di trasformare le idee in progetti, i progetti in realtà.
Olivetti aveva preso le redini dell'azienda ereditata dal padre Camillo nel secondo dopoguerra, rivoluzionando il concetto di rapporto datore di lavoro-dipendente, introducendo turni più corti, stipendi più dignitosi, asili e biblioteche in fabbrica, garantendo i permessi per maternità e assistenza medica, ed inimicandosi gli industriali contemporanei. La fiction indugia anche nella vita privata dell'imprenditore, sulla relazione con la prima moglie Paola, indipendente e vitale, e poi con la più giovane Grazia; con i parenti, più preoccupati di mantenere il prestigio personale e l'agiatezza che il benessere dei centinaia di dipendenti.
La miniserie integra anche il tema, più fantasioso, dello spionaggio, avvolgendo di mistero la morte improvvisa di Olivetti, che con le sue idee, considerate potenzialmente comuniste, aveva preoccupato gli esponenti dei servizi segreti statunitensi. Così come aveva indispettito gli industriali americani immettendo sul mercato prodotti innovativi come le macchine da scrivere compatte e il calcolatore elettronico.
La fiction vuole suggerire che una soluzione alla crisi dell'Italia di oggi c'è, basta voltarsi indietro e lasciarsi ispirare, ma con l'ingenuità con cui gli sceneggiatori Silvia Napolitano e Franco Bernini la costellano di archetipi, trasformano la storia in favola, la realtà in qualcosa di irreale e quindi non pertinente alla sfera del possibile. La regia della fiction è affidata al nipote di Olivetti, il regista Michele Soavi, che in conferenza stampa ha confessato: "Vengo dal poliziesco e dall'horror e consideravo questo film un po' come un vaso delicato che temevo di infrangere con le mie mani un po' rozze". I suoi timori si sono materializzati in una direzione che evoca le soluzione registiche più fastidiose della fiction, infarcita di primi piani ravvicinati, dissolvenze e montaggi alternati. La morte di ogni membro della famiglia Olivetti è annunciata da urla femminili apocalittiche, e quella del patriarca - con il protagonista colto da presentimento - scivola quasi nel ridicolo. Luca Zingaretti è bravissimo nel ritrarre Adriano Olivetti, e ne esce dignitosamente, mentre è più dura per gli attori a cui sono riservate parti basate su personaggi inventati e stereotipati - nel cast anche Stefania Rocca, Francesco Pannofino, Francesca Cavallin, Elena Radonicich, Massimo Poggio - non scadere nel macchiettistico. Peccato perché una figura come Adriano Olivetti merita un biopic pieno solamente di talento e bellezza.