Lo diciamo subito, all'inizio della nostra recensione di Radiograph of a family: il film documentario diretto dall'iraniana Firouzeh Khosrovani è per cinefili puri. Rigoroso nella messa in scena, a tratti persino sin troppo statico, ma con una chiara idea cinematografica di partenza, questo film dalla durata esigua (solo 80 minuti) è a suo modo un'opera estrema, che riesce a raccontare molto con poche immagini, e che tuttavia potrebbe risultare una visione complessa e ardua. Non tanto per il racconto di stampo autobiografico, che mette in mostra a livello personale la storia di un matrimonio e di una famiglia (quella della stessa regista), quanto per una scelta che cerca nei tempi dilatati un senso del racconto di stampo poetico a cui il pubblico non è più abituato. Una volta superato questo scoglio, il film potrebbe aprirsi e regalare, anche se meno frequentemente di quanto ci si aspetterebbe, momenti molto appaganti.
Un matrimonio e una storia
La trama del film documentario si concentra sulla storia della famiglia della regista, in particolar modo sulla storia d'amore tra il padre Hossein e la madre Tayi. Originari entrambi di Teheran, lui si è trasferito in Svizzera per motivi di studio, ma si innamora perdutamente di lei, molto legata al credo tradizionale mussulmano. Ciò non impedisce alla coppia di sposarsi (anche se in modo particolare, ci arriveremo tra poco) a cui segue il trasferimento, non senza timore, della moglie in Svizzera col marito. Lì Tayi avrà modo di conoscere un uomo più progressista, che ha quasi gettato alle sue spalle il suo credo. Sarà l'inizio di uno scontro ideologico che racconta anche il cambiamento nel corso degli anni della società iraniana, dall'era dello Scià fino alla guerra tra Iran e Iraq, passando per la Rivoluzione Islamica. Un mutamento che cambia i ruoli dell'uomo e della donna e, di conseguenza, cambia la relazione all'interno del matrimonio tra Hossein e Tayi. La storia di questa coppia così divisa e, allo stesso tempo unita, viene raccontata attraverso più voci. La prima voce è quella della stessa regista (anche se doppiata dalla montatrice del film) che narra direttamente allo spettatore gli eventi della storia. Le altre due voci sono quelle del padre e della madre, ovviamente ricostruite e non basate su registrazioni d'archivio, che rievocano dialoghi e conversazioni che appartengono alla memoria della regista. Il risultato è una narrazione che sfocia presto in una certa poesia di fondo, più aulica e magica, dove la realtà tangibile si mescola a quella dei ricordi.
Rappresentare il passato
Allo stesso modo le immagini che accompagnano il racconto si dividono tra immagini di repertorio, con il recupero di filmati d'archivio oltre che di fotografie appartenenti alla famiglia di Khosrovani, e ricostruzioni di finzione di una casa. Proprio queste inquadrature regalano le più forti metafore del film, dove l'interno della casa, catturato dalla macchina da presa sempre con lo stesso movimento e la stessa inquadratura, dimostrano il cambiamento nel corso degli anni, sino ad arrivare al rivelatorio finale. La storia personale e quella di un intero Paese si mescolano, accentuando la sensazione di far parte di un mondo interconnesso, dove la famiglia appartiene e sente i mutamenti di una società collettiva. Questa scelta così formale ed estrema nella messa in scena non è esente da difetti. Da una parte il film non riesce a costruire dei climax, delle scene topiche che possano ergersi rispetto ad altre: il tutto rischia di apparire un po' troppo statico, complice la melodiosa voce over. A volte si ha la sensazione di sfogliare un album di famiglia senza particolare trasporto emotivo, più importante per la regista che per il pubblico stesso. La struttura del film, inoltre, non ammette cambiamenti o modifiche: alternando in maniera quasi matematica le diverse fonti e le immagini, Radiograph of a family si dimostra una visione che potrebbe rivelarsi ardua nonostante l'interesse.
Il concetto della radiografia
Radiografia, l'immagine dell'interno di un oggetto. In questo caso, il termine simboleggia nel migliore dei modi l'operazione voluta da Firouzeh Khosrovani, che indaga in maniera interiore la propria famiglia e il matrimonio dei suoi genitori. L'interesse legato alle immagini è preponderante nella costruzione del film. Non a caso, la storia comincia con il racconto dell'atipico matrimonio di Tayi che ha letteralmente sposato la fotografia di Houssein, impossibilitato a lasciare la Svizzera. Il matrimonio con una rappresentazione iconografica diventa metafora di tutto il racconto e si ripresenta anche nella divisione interiore della regista, figlia di due culture. Più che un'indagine sulla famiglia, Radiograph of a family si trasforma, di conseguenza, in una radiografia della stessa regista, che tenta di fare pace con la propria immagine che rappresenta e la persona che è.
Conclusioni
A conclusione della nostra recensione di Radiograph of a family possiamo ritenere il film di Firouzeh Khosrovani un documentario sperimentale e sincero, anche se abbastanza ostico per un pubblico non composto da cinefili. Il rigore della messa in scena e l’appartenenza a un linguaggio più aulico e poetico rendono il film sicuramente interessante, anche se talmente personale da non poter avere un impatto forte sugli spettatori. Raccontando la storia della propria famiglia, la regista sembra scavare dentro la propria identità e quella di un intero Paese, attraverso ricordi e materiale d’archivio, a tratti non sempre ben amalgamato.
Perché ci piace
- Il documentario si dimostra un’opera sincera e personale.
- L’identità personale si interseca con la storia culturale di una società.
- Alcuni momenti poetici riescono a colpire lo spettatore.
Cosa non va
- Non sempre l’alternanza tra materiale d’archivio e ricordi personali funziona al meglio.
- Con un ritmo dilatato e un forte rigore formale, il film potrebbe allontanare un pubblico meno cinefilo e abituato a questo tipo di racconti.