Una donna che prova strenuamente a salvare la sua famiglia in un mondo in cui sono gli uomini a prendere tutte le decisioni. Ci troviamo in Bosnia, nel 1995, Aida è un'interprete delle Nazioni Unite nella cittadina di Srebrenica: quando l'esercito serbo occupa la città, lei, i suoi famigliari e migliaia di loro concittadini saranno costretti a cercare rifugio e a fare di tutto per sopravvivere. Quo Vadis, Aida?, tra i film in Concorso in questa Venezia 77, è la vicenda a tratti autobiografica vissuta dalla regista Jasmila Zbanic e racconta una delle pagine più drammatiche ed oscure del conflitto in Bosnia ed Erzegovina.
Durante la conferenza di presentazione alla Mostra abbiamo parlato con parte del cast tecnico ed artistico del film - a proposito, qui potete leggere la nostra recensione di Quo Vadis, Aida? - e abbiamo scoperto con loro che cosa abbia significato raccontare un capitolo così doloroso nel passato della regista e dei suoi connazionali. A rendere questo film ancora più speciale, poi, il fatto che la vicenda sia interamente narrata da un prospettiva femminile: "Questo film è dedicato alle donne che hanno perso mariti e figli in questa guerra, conosco persone che hanno perso la famiglia intera" spiega la regista, "ci sono tantissimi film di questo tipo girati da una prospettiva maschile. Volevo raccontare storie di donne per potermi identificare con loro." Anche Jasna Đuričić, che interpreta la protagonista Aida, sottolinea quanto raccontare questo genere di storie, soprattutto con questo tipo di sguardo, sia importante: " Jasmila è bravissima a portare sullo schermo storie di cui nessuno vuole parlare. Lei parla di uomini e donne comuni, di me e di te. Questi film ci aiutano a rendere il mondo un posto migliore, ci fanno riflettere sulla Storia e sui noi stessi."
L'importanza del realismo
Riportare la drammatica vicenda della massacro di Srebrenica con estremo realismo è stata una necessità per chiunque abbia preso parte alla realizzazione del film: "Per quanto riguarda il mio personaggio, il generale Ratko Mladić, ho insistito per utilizzare le parole esatte che si sentono nei filmati originali del 1995, non ne ho nemmeno cambiato l'ordine," spiega Boris Isaković, "mi sono preparato guardando e riguardando tutto ciò che ho trovato che lo riguardasse. Alla fine ho creato una figura negativa, in qualche modo monodimensionale, qualcuno che non può piacere dal punto di vista umano."
Anche la regista ha ricercato il massimo realismo per realizzare il suo film: "Ho provato a parlare con tutti quelli che erano coinvolti nella storia, ho incontrato moltissimi soldati delle Nazioni Unite e ho raccolto le loro storie. Un ragazzo mi ha raccontato di aver pianto per la sensazione di impotenza che ha provato, e ho deciso di inserire la scena. Ho raccontato fatti reali e li ho integrati con la fiction. Abbiamo rappresentato ogni evento a partire dalla sera del dieci luglio, quando ho scritto la storia ho fatto ricerca su tutto, ma siamo stati costretti a drammatizzare certe situazioni per non nuocere al ritmo della narrazione. Questo senza però allontanarci dalla realtà dei fatti."
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L'importanza dell'empatia
La rappresentazione che viene fatta in Quo Vadis, Aida? dell'operato delle Nazioni Unite, che purtroppo non intervengono per impedire il massacro che sta per avvenire, è piuttosto negativa: "Tra loro c'era chi comandava ma erano pochi quelli che potevano veramente fare qualcosa," racconta sempre la regista "non hanno però fatto molto per aiutare i miei connazionali, anche se avrebbero potuto. Quello che penso è che, in senso generale, se anche abbiamo dei mezzi limitati c'è sempre la possibilità di essere empatici con il prossimo, nessuno ci impedisce di esserlo."
Christine Maier, direttrice della fotografia, sottolinea quanto sia importante - e quanto questo principio l'abbia guidata durante la lavorazione del film - fare in modo che, anche nelle scene più numerose, non si perda l'individualità delle persone: "Tutti i volti che vediamo sono persone con alle spalle una storia, che hanno davanti a sé un doloroso destino comune. Non volevo si perdesse la loro individualità."