Visto e amato per la prima volta a Cannes 2023, con che il pensiero arrivò direttamente alla successiva stagione dei premi. Tant'è che Quattro figlie di Kaouther Ben Hania vincerà poi ai César e agli Spirit Awards come miglior documentario, venendo poi candidato agli Oscar. Dietro il film, che si rivela un racconto femminile di rabbia, di scoperta, di rivelazione, una storia vera che ha fatto decisamente discutere in Tunisia: Olfa, madre patriarcale, viene travolta dai fatti quando due delle sue quattro figlie scompaiono all'improvviso.
La verità, che non vi riveliamo, arriverà dinamitarda e improvvisa, alla fine di un documentario che diventa cinema e poi teatro, fino alla rappresentazione scenica enfatizzata dal cast: Olfa compare nel film, accompagnata dalla star araba Hend Sabri, mentre Nour Karoui e Ichraq Matar interpretano le figlie scomparse, affiancandosi alle vere sorelle Eya Chikhaoui e Tayssir Chikhaoui. "Mi piacciono i documentari, perché mi permettono di rischiare, perché non costano molto da produrre e ho più libertà", ci dice Kaouther Ben Hania, che abbiamo intervistato in occasione dell'uscita in sala del film. "Comunque, mescolando molti elementi, non ero sicura che avrebbe funzionato. Ho avuto paura per tutto il tempo, ho avuto dei dubbi perché mi trovo in un territorio inesplorato in termini di forme, ma potevo permettermelo e volevo che funzionasse".
Rosso, nero, azzurro: Quattro figlie raccontato dalla regista Kaouther Ben Hania
Come già scritto nella nostra recensione, Quattro figlie gioca su tre colori, altamente significativi: l'azzurro, il rosso e il nero. Una scelta estetica spiegata così dalla regista: "Volevo creare un'unità estetica in tutto il film. In effetti, il set aveva questo colore blu sulle parete che amo molto. E poi il rosso che è la vita, la pulsazione attraverso tutta l'oscurità. Non volevo moltiplicare i colori, ma volevo però avere uno stile, una couture che fosse unificata nel film". Un pensiero anche sull'esplosivo finale "Non sono partita dalle notizie, dai titoli dei giornali, per scrivere il film. Per doveva esserci qualcosa di molto più profondo. Avevo già in mente questa struttura, ma poi, in sala di montaggio, non si può mai essere sicuri di nulla. Ricordo che abbiamo provato a iniziare con un resoconto della storia delle ragazze. Non mi sembrava giusto, perché condannava le ragazze fin dall'inizio e noi vedevamo il loro passato sotto una luce diversa. Così sono tornata alla struttura originale che avevo immaginato".
Il potere dello storytelling
Secondo Kaouther Ben Hania, che nel 2020 ha diretto L'uomo che vendette cara la pelle, primo film tunisino ad essere candidato agli Oscar, Quattro figlie può essere identificato come un atto di ribellione, anche grazie al potere dello storytelling. "Raccontare è un esercizio molto importante in generale. Perché concettualizza un contesto caotico, gli dà un senso. È quello che ho cercato di fare con il mio film, perché dietro c'è un contesto molto caotico. Naturalmente, l'ho fatto con questa famiglia, ed è un caso particolare, ma credo sia importante lavorare su tutti gli aspetti della rivoluzione e della storia. Ed è vero che ogni Paese o popolo deve raccontare la propria storia".
In chiusura di intervista, la regista si sofferma sull'umorismo, come chiave di un cinema che potrebbe aver già detto e raccontato tutto, essendoci però spazio per un'evoluzione delle storie legate allo sconfinamento dei generi. "In Quattro figlie l'umorismo è presente, ma non so se rivoluzionerà la storia del cinema. Tuttavia, c'è ancora qualcosa da esplorare. È vero che tutto è stato raccontato, ma bisogna affrontare il modo in cui si raccontano certe cose. Penso ai confini tra i generi, tra documentario e fiction, tra i sottogeneri. C'è ancora spazio per l'innovazione in termini di linguaggio cinematografico. Ma in generale non ci si avvicina troppo a questa frontiera perché comporta un rischio. C'è il rischio che non funzioni perché è fuori dai sentieri battuti".