Quasi a casa della romanissima Carolina Pavone (esordio!) parte e finisce con un'idea di cinema ben precisa. Un'idea semplice, che non punta all'assurdo né all'originalità smodata (anzi, dietro c'è una storia già vista e già sentita, ma poco importa), avendo una sua coscienza e una sua identità che, per colori e personaggi guarda ad Éric Rohmer e alla Nouvelle Vague (con le dovute proporzioni, ma tant'è). Ce ne accorgiamo subito, fin dal primo piano della protagonista, interpretata da un'altra esordiente da tenere d'occhio, Maria Chiara Arrighini. Capelli corti e sguardo fugace, come se fosse la Jean Seberg di Fino all'ultimo respiro.
Prodotto tra gli altri da Nanni Moretti, e presentato alle Giornate degli Autori di Venezia 81, il film mostra allora la sua faccia, enfatizzando al meglio quel connubio sempre speciale tra cinema e musica. In qualche modo, la musica e il cinema (e con loro la ricerca di sé, per quel percorso umano simile ad un romanzo di formazione) sono la testa ed il cuore di Quasi a casa. Titolo emblematico nella sua potente sensazione: quell'avverbio che diventa idealmente parte integrante di un futuro confortevole (la casa, appunto) ma non ancora del tutto compiuto. Una sorta di anticipazione, un letimotiv motivazionale, l'espressione più bella che possa esistere, da sussurrare e ripetersi dopo aver affrontato un lungo percorso. Del resto, il soggetto della Pavone, scritto poi insieme a Michela Straniero, rivede l'incompiutezza generazionale attraverso un costante cambio di luce (e cambio di acconciatura), aprendosi ad una domanda lanciata nel momento topico: ma la vita vera, quando comincia?
Quasi a casa, tra cinema e musica
Già, quando comincia? Se lo chiede Caterina (Maria Chiara Arrighini), che ha vent'anni e vorrebbe fare la cantautrice. Cappellino alla pescatora, t-shirt oversize e quei testi che sembrano usciti dalla penna di Ariete o di Franco126 (dietro la musica di Quasi a casa c'è invece Coca Puma, classe 1998, e anch'essa di Roma). Testi e musica, prove su prove, in una Capitale assolata e sorniona, che Caterina gira e rigira insieme al fratello Pietro (Michele Eburnea), con cui prova a mettere su quella che dovrebbe considerarsi una band.
Ma a vent'anni il condizionale è d'obbligo e le prospettive sono sfumate, a volte umorali, tra insicurezza e paura. E allora forse meglio staccare il microfono e andare al mare. E proprio al mare Caterina incontra (volutamente) il suo idolo, la cantante francese Mia (Lou Doillon). Tra le due inizierà un rapporto disfuzionale, complicato, intermittente, latentemente pericoloso. Ma anche rivelatorio, e in qualche modo, liberatorio.
Una convenzione che non rinuncia all'identità
Accompagnato dal sax malinconico della colonna sonora della brava Puma, resa poi corposa dalla granulosa fotografia di Emanuele Pasquet, Quasi a casa è il percorso di una ragazza alla ricerca di un futuro che "inizia lentamente". Fotografia onesta di un'indeterminatezza generale, che artiglia quei ragazzi dai sogni grandi, sulla soglia di una vita adulta che, probabilmente, non sarà mai totalmente definita. Per questo, più del rapporto sospeso ma in costante evoluzione tra Margherita e Mia (che ricorda quello già visto nello splendido Finalmente l'alba di Saverio Costanzo), e della disamina onesta che ne esce per quanto riguarda l'arte, il talento, l'industria musicale (e di contraltare l'industria cinematografica), il film di Carolina Pavone è specchio di un'esplorazione che porta avanti il profilo di quella generazione a cavallo tra i Millennials e la Gen Z.
Un'esplorazione a volte umoristica, a volte scapigliata, a volte troppo istintiva (come nei migliori esordi), ma comunque presente nell'emotività militante di una sceneggiatura in cui trovarsi, e ritrovare quei colori e quei suoni che, inconsciamente, ci hanno reso di botto adulti. Più in generale, Quasi a casa, è effettivamente la diretta conseguenza di uno sguardo partecipe e ben consapevole: Carolina Pavone, che immagina la sua Margherita come se fosse una specie di Frances Ha, girovaga di una Roma cantautoriale, è quindi parte di quello stesso futuro che prova ad acchiappare, convincendo con un'opera minuta, accettando le convenzioni senza però rinunciare all'identità. Il resto, come si dice, è musica.
Conclusioni
Alla ricerca di un futuro nell'opera prima di Carolina Pavone. Estro e talento, individualità e identità, la musica come percorso, la crescita come chimera. Tra Roma e il mare, tra scoperte e frammenti, il percorso di una protagonista che aspetta un futuro che tarda ad arrivare. Specchio generazionale, inflessione di un cinema moderno, più nuovo e più fresco. Magari manca l'originalità, ma è un peccato relativo rispetto alla precisione caratteriale di quei personaggi che diventano persone. Ottimo il casting: Maria Chiara Arrighini e Lou Dillon sono la coppia che cercavamo.
Perché ci piace
- L'atmosfera.
- La scelta di casting: brave Maria Chiara Arrighini e Lou Dillon.
- Le canzoni e la musica originale.
- Il finale.
Cosa non va
- Potrebbe essere qualcosa di già visto.