Recensione Il gusto degli altri (2000)

Mondi diversi e lontani tra di loro si sfiorano, senza mai incontrarsi veramente, com'è nella tradizione dei film francesi.

Quanto contano i giudizi esterni?

La carrellata di personaggi sui quali si sofferma l'occhio attento dell'esordiente regista Agnés Jaoui, mostra vite insoddisfatte, desideri ed aspirazioni frustrate. Ognuno ricerca nell'altro ciò che gli manca. Forte è il bisogno di aprirsi verso qualcosa che in sé non si è trovato, e l'esigenza di alleggerire i propri problemi, affidandoli all'ascolto degli altri.
I personaggi qui scrutati e raccontati si ritrovano in luoghi affollati, circondati da gente più o meno sconosciuta. Il teatro, il bar, la mostra, la fabbrica, crocevie di volti che nascondono passati differenti. L'importante è non esser soli, ma trovarsi tra la gente, esser parte di un gruppo, o semplicemente anonimi fra la folla. Nonostante ciò i personaggi rimangano chiusi nel loro microcosmo, si parlano, ma non si capiscono, si avvicinano, ma non si uniscono, si confrontano, ma non si integrano. Pochi sono gli spazi aperti, e poche le figure intere. Gli attori vengono, infatti, ripresi con insistenza in mezzi primi piani, dal busto in su.

Tale scelta mostra l'intenzione di concentrarsi sui volti e le espressioni, ma anche di tagliare e chiudere la figura nel contesto che le è speculare. La scelta dei numerosi ambienti non è casuale, ma aderente ai personaggi che vi gravitano. A cominciare dalla casetta-bomboniera, tutta fiori, uccellini e tendine, dei coniugi Castella. Arredata dalla petulante e noiosa moglie, la rosea villetta mostra in tutti i particolari il desiderio di esprimere una sensibilità troppo spesso frustrata e soffocata dai problemi quotidiani. Il bisogno di evadere è presente anche nella ipnosi televisiva da soap-opera, o nell'attaccamento morboso agli animali, reso caricaturale e fuori luogo. Il marito, rozzo e sottomesso, contrasta l'eccesso dei gusti della moglie con l'assenza di gusti propri. E' la signora Castella a comandarlo e regolarlo. La casa in cui abita non gli appartiene, non ha nulla di personale. Il luogo che gli fa da sfondo, che invece rappresenta il suo ambiente ideale è la fabbrica, fredda e spoglia. Ma il cambiamento è in agguato, e la trasformazione migliorerà questa figura, dandogli una personalità e degli interessi. La metamorfosi sarà totale, esteriore, interiore ed interpersonale. Dal taglio dei baffi, allo sviluppo di un senso estetico ed artistico, al mancato licenziamento del segretario.

Significativa è la sequenza in cui il signor Castella vuole imporre la sua scelta nell'ambiente domestico, appendendo un quadro nel salotto, in pieno contrasto con l'arredo. Il cambiamento del marito non si può più conciliare con il non cambiamento della moglie. Le due strade si dividono inevitabilmente.
Al servizio dei Castella vi sono altri due personaggi, altre due storie. L'autista, Deschamps, e la guardia del corpo, Moreno. L'uno, sensibile ed ingenuo, viene lasciato per lettera dalla fidanzata. L'altro, protettivo per lavoro e per vocazione, si assenta nell'unica occasione pericolosa della piatta esistenza di Castella.
I due sono colleghi, ma concorrenti verso la stessa donna, che ospita nel suo letto prima l'autista, e poi la guardia del corpo. Ma il curioso triangolo viene lasciato cadere, e passa inosservato nel flusso narrativo.
La donna "contesa" è Manie, interpretata dalla stessa regista che, nella realtà, condivide un connubio professionale e sentimentale con Jean Pierre Bacrì, l'interprete del signor Castella.

L'audace Manie è una figura significativa in quanto riassume in sé il binomio dialogo/incomunicabilità presente in tutto il film. E' un personaggio intraprendente, punto di riferimento per amici e confidenti, ma anche per chi ricerca l'evasione del fumo, che spaccia per arrotondare lo stipendio da barista. Pur essendo circondata da persone, Manie è sola. E' in grado di ascoltare, ma non di farsi ascoltare. Tale caratteristica è evidente negli ambienti che le fanno da sfondo. Si passa dal bar affollato, all'appartamento in cui vive sola, anch'esso crocevia di uomini che passano, ma non rimangono.
Manie è il punto in cui convergono i diversi personaggi con i loro mondi. Da una parte quello borghese del signor Castella, che lei soccorre, e dall'altra quello degli artisti-intellettuali, rappresentato da Clara, l'attrice teatrale sua amica.
Quest'ultima, fredda e distaccata nella vita, riesce, nel teatro, ad essere appassionata e coinvolgente. Proprio la recitazione tragica di Clara farà breccia nel cuore del grossolano Castella, trasformando le noiose lezioni d'inglese da lei impartitegli, in attesi incontri. La sofisticata Clara si mostrerà indifferente all'impacciato corteggiamento dell'uomo, anche se sarà proprio lui a strapparle l'unico luminoso sorriso di quell'impassibile volto.

Il Gusto Degli Altri è un delicato ed intelligente film che s'innamora dei suoi personaggi così diversi, ma destinati ad incrociarsi.
Da una parte ci sono i vinti, dall'altra i vincitori. Da una parte parole parole parole, dall'altra incomunicabilità.
Ciò che conta è raccontare storie, analizzare i fragili rapporti interpersonali. Poco importa se diamo più risalto alle sconsolate parole della moglie che indica il suo cane saltellante nei prati, come l'unica creatura felice, proprio perché inconsapevole; o al liberatorio sfogo musicale dell'autista, non più interprete di suoni senza significato, ma membro ora di un'orchestra. Tuttavia il senso del film risiede forse in quest'apertura finale: un singolo suono che produce una melodia soltanto con l'aiuto degli altri singoli suoni, che altrimenti rimarrebbero isolati ed inutili.