Recensione Emotivi anonimi (2010)

Isabelle Carré e Benoit Poelvoorde formano sullo schermo una coppia affiatata, capace di trasmettere, con grande espressività e un'ottima padronanza dei tempi comici, attrazione e diffidenza, sincerità e imbarazzo, e tutta la tenerezza che è forse l'aspetto più bello e commovente dell'inizio di una storia d'amore.

Quando l'amore incontra l'ansia

Tutti noi, in maniera più o meno evidente e dolorosa, ci preoccupiamo del giudizio degli altri. Bisogna essere molto forti, e forse anche molto incoscienti, per non tenere conto delle aspettative altrui, delle ripercussioni che le nostre azioni avranno sul mondo che ci circonda. Ma ci sono anche persone per cui l'ansia di rapportarsi con l'esterno travalica i limiti del fisiologico, e allora anche solo una telefonata, o un minimo contatto fisico, diventano fonte di paura e sofferenza.
Una di queste è Jean-René, proprietario di una fabbrica di cioccolato in crisi che, al termine di un quasi surreale colloquio con Angélique, le affiderà il compito di risollevare le sorti dell'azienda, in quanto nuova responsabile delle vendite. Peccato che Angélique ambisse ad un posto di cioccolataia, mestiere in cui si è distinta, protetta dall'anonimato, negli ultimi anni, e a cui ha dovuto rinunciare in seguito alla morte del suo mentore. La ragione di una tale segretezza è che anche lei possiede un'emotività fuori dal comune, e che il mondo fosse testimone del proprio talento le sembrava una possibilità capace solo di renderle la vita impossibile. Tra mille titubanze, e con il sostegno del gruppo di ascolto degli Emotivi Anonimi, Angélique si risolverà a fare comunque del suo meglio nel nuovo lavoro, mentre Jean-René, opportunamente istruito dal proprio terapista, sarà costretto a mettere in atto tutta una serie di esercizi tesi ad avvicinarlo al mondo esterno, tra cui le epiche imprese di invitare a cena una donna e di stringere la mano a qualcuno. Inutile dire che vittima designata dei suoi tentativi di guarigione sarà Angélique: pur contro tutte le aspettative, tra questi due ipersensibili individui nascerà un sentimento potente, che dovrà però venire a patti con la loro natura problematica, e forse anche smussarla un po', pur di sopravvivere.


Ex emotivo anonimo egli stesso, e per sua stessa ammissione ancora cronicamente affetto da ansia, il regista Jean-Pierre Améris si cimenta per la prima volta nella sua carriera in una commedia, e la decisione di dedicare un film a un problema con cui lo stesso autore francese deve rapportarsi quotidianamente ha senz'altro influito sulla bontà del risultato. Con Angélique e Jean-Renè ridiamo, ma non ridiamo di loro: a farci nascere un sorriso è il fatto di riconoscere in questi personaggi, seppur esasperate fino al patologico, le nostre stesse ansie, le nostre stesse piccole manie, gli espedienti di cui facciamo uso per affrontare con un po' più di sicurezza i problemi (o quelli che consideriamo tali). Senza andare troppo sopra le righe, evitando di spingere sull'elemento caricaturale che pure, di tanto in tanto, fa simpaticamente capolino, Améris riesce a creare una grande empatia tra i suoi protagonisti e lo spettatore, quasi a volerci invitare a non rifiutare il lato più emotivo della nostra personalità, perché è lì che si esprime la nostra autentica natura.

Isabelle Carré e Benoit Poelvoorde formano sullo schermo una coppia ben affiatata, capace di trasmettere, con grande espressività e un'ottima padronanza dei tempi comici, attrazione e diffidenza, sincerità e imbarazzo, e tutta la tenerezza che è forse l'aspetto più bello e commovente dell'inizio di una storia d'amore. Una sceneggiatura che scorre senza intoppi e riesce, caso raro per il genere, a non risultare mai pretestuosa, garantisce un buon ritmo alla narrazione, mentre la fotografia, insieme all'accurato lavoro effettuato sui costumi, conferisce a Emotivi Anonimi un allure da commedia anni Cinquanta, perfettamente in tema con lo spirito scanzonato e leggero, ma ben lontano dal vacuo, del lavoro di Amèris.
Se per l'autore francese il cambio di genere ha rappresentato una sfida, si può senz'altro dire che l'abbia vinta. E che un emotivo, conscio di esserlo, non si sottragga a una delle prove più difficili a cui un regista è chiamato, così come che i suoi protagonisti tentino di non rinunciare alla felicità nonostante le proprie angosce, non può che farci guardare con un po' più di speranza e di ottimismo al futuro: perché spesso basta una risata, purché sia garbata e rispettosa, come in questo caso, a ridimensionare quegli ostacoli che ci sembravano insormontabili.

Movieplayer.it

3.0/5