Rifiutato dai selezionatori di Venezia 65 ed inserito tra gli Eventi Speciali del Roma Film Festival anziché nel concorso ufficiale il nuovo film di Michele Soavi - narra una tragica storia familiare ambientata sul finire della Seconda Guerra Mondiale. Un figlio partigiano (Alessandro Preziosi), uno poliziotto (Michele Placido) e una figlia (Alina Nedelea) che dopo aver perso il marito in un bombardamento decide di arruolarsi come ausiliaria nell'esercito della Repubblica di Salò. A metà tra dramma storico e thriller, Il sangue dei vinti prova, a distanza di decenni, a fare quel che il libro di Pansa ha tentato di fare col suo libro (uscito nell'ottobre 2003) e cioè scavare nei meandri del nostro passato storico per far luce sulla Resistenza e sui tanti scheletri nell'armadio della nostra storia. Una guerra civile, quella tra partigiani e fascisti, che ancora oggi è contornata da insabbiamenti, da verità nascoste e da dubbi.
Il sangue dei vinti sarà nelle sale tra febbraio e marzo prossimi per poi passare su Raiuno in due puntate alla fine del 2009. A presentarlo in conferenza stampa il regista Michele Soavi, lo scrittore Giampaolo Pansa, il produttore Alessandro Fracassi, l'attore Michele Placido e le tre interpreti femminili del film Barbora Bobulova, Ana Caterina Morariu e Alina Nedelea.
Perché avete scelto di portare sul grande schermo questa storia?
Michele Soavi: Per provare a favorire una sorta di pacificazione tra i due schieramenti politici dell'epoca, per provare a raccontare come anche durante una guerra siano importanti i valori umani, ma soprattutto dopo, quando è tempo di seppellire i morti.
Giampaolo Pansa: Io parlerò chiaro, visto che in qualità di scrittore non ho alcun dovere di cautela. Quella in cui viviamo oggi è un'Italia affatto pacificata, è un paese diviso a metà come una volta in cui si combattono le rispettive memorie e si ha difficoltà persino ad accettare la memoria degli 'altri'. Ognuno di noi deve avere il diritto di raccontare la propria verità.
Quanto è stato difficile per Michele Placido indossare la camicia nera?
Michele Placido: Sono nato nel 1946, a quei tempi mio padre amava molto indossarla mentre a me non è mai andata giù. Sono di un'altra generazione ma ricordo che nel piccolo paesino della Puglia in cui sono nato per giocare a pallone mi sono dovuto iscrivere alla Giovine Italia. Per potermi permettere gli studi di arte drammatica facevo il poliziotto e solo successivamente ho cambiato direzione politica diventando di sinistra. Ho fatto diversi film nella mia carriera su questo argomento ma non ho scelto mai i copioni sull'onda dell'emotività ideologica.
Come vedete questa collocazione tra gli eventi speciali anziché in concorso?
Giampaolo Pansa: Come si dice di solito in questi casi 'a pensar male si fa peccato ma non si sbaglia mai'. Lo sforzo da parte di Fracassi è stato notevole ma a volte mi chiedo chi gliel'abbia fatto fare a comprare i diritti del mio libro, lo considero un gesto quasi eroico visto il tema spinoso. Io sono un anarchico individualista e non ho nessun partito alle spalle. Ho accettato la decisione dei selezionatori anche se non mi è per niente piaciuta, come molte delle cose italiane.
L'impressione è che il passo del film sia notevolmente più cauto rispetto al libro nell'additare i partigiani di crimini orrendi quanto quelli dei fascisti. E' un'impressione fondata secondo voi?
Alessandro Fracassi: Per rimanere fedeli al libro di Pansa avremmo dovuto girare una sorta di docu-film, ma noi volevamo raccontare un'altra storia e cioè quella delle famiglie che hanno vissuto quegli anni e i loro sentimenti. La storia negata e mai svelata di chi non ha potuto dare ai propri cari una degna sepoltura, lusso che spetta in ogni guerra solo ai vincitori e mai ai vinti.
Michele Soavi: Mio padre è uno scrittore e mia madre era ebrea, diciamo che ho sempre vissuto nel conflitto. Quando ho accettato di fare il film ho scelto di seguire fondamentalmente il Pansa pensiero e di guardare alla storia con gli occhi di uno straniero che non conosce gli avvenimenti del nostro passato post-bellico.
Cos'ha pensato quando le hanno detto che il suo libro sarebbe stato trasformato in un film?
Giampaolo Pansa: Onestamente penso che il mio sia un libro intraducibile oltre che revisionista, in definitiva è una sorta di catalogo di nomi e di fatti assai incompleto a livello storiografico. Quando ho saputo che si pensava di farne una trasposizione cinematografica mi sono sorpreso. Capisco quanto possa essere stato difficile per Soavi dirigere un film che oggettivamente posa una pietra importante sulla verità che rappresenta un passo in più verso una storia meno bugiarda alla quale ho colpevolmente contribuito anch'io. Ho 73 anni e sono stato il primo studente italiano a presentare una tesi di laurea sulla storia dei partigiani. So cosa significa la guerra, da bambino mi ci sono trovato dentro.