Poesia in movimento
La vita del giovane Tae-Suk è monotona quanto bizzarra; impalpabile. Entra in case momentaneamente senza padroni e le vive, mangiandoci, lavandosi e riparando oggetti rotti. Quando non occupa case, prende la sua amata mazza da golf Ferro 3 e si esercita ossessivamente. Un iter che non riesce a spezzare neanche con spiacevoli eventi e che assume una nuova dimensione di struggente condivisione quando una bellissima ed infelice donna, maltratta dal marito, si unisce a lui. Un'unione surreale, contrappuntata da siparietti teneri e paradossali, ma soprattutto fondata sul silenzio e allo stesso tempo ricca di sfumature, di sguardi e di gesti che esemplificano l'affermarsi di un sentimento da sempre di difficile trattazione: l'amore.
Difficile argomentare con sobrietà un film di inarrivabile bellezza come Ferro 3 - La casa vuota. Cinema puro, essenziale quanto elegante, di una leggerezza ed armoniosità unica; ad opera di un regista arrivato quasi casualmente sia alla pittura (suo grande amore) che al cinema stesso. L'amore, la solitudine, l'identità e la libertà sono i temi portanti di un film retto su un equilibrio magico e poetico dove niente è scontato o prevedibile e dove il tocco dolce ed artistico (nell'accezione più classica del termine, come creazione pura della materia espressiva) di Kim Ki-Duk, raggiunge spesso vette di rara bellezza. Ci si innamora pian piano del film, fotogramma per fotogramma si ride, si soffre, ci si commuove e ci si stupisce nell'essere di fronte all'essenza più completa e sublime dell'immagine in movimento; ma è una volta che lo si è assorbito, distanti nel tempo e nello spazio da dove lo si è visto, che il film prende ancora più quota, lasciando il segno, dentro di noi. Non occorrono altre parole. Capolavoro!