I film di genere, le ossessioni, l'istinto e la preparazione e un set al fianco di Michael Mann. Non c'è dubbio, oggi il nuovo cinema italiano sta vivendo un buon momento (con la speranza che si rafforzi, affermandosi), sostenuto da giovani interpreti e giovani autori. Giovani e preparati. Perché l'età, quando si è bravi, non conta. Conta invece il talento, e la voglia di guardare altrove. Come per Antonio Abbate che, all'esordio, dirige Phobia, storia di una ragazza che, seguendo il flusso di strane apparizioni (tra realtà e suggestione), affronta i tormenti del passato. "È una storia thriller, ma ci sono tanti altri elementi al suo interno", racconta il regista, al telefono. "C'è da dire che negli ultimi anni c'è reticenza a mettere in scena film di genere. Però sì, ora si sta assottigliando la contaminazione".
Protagonista di Phobia, la brava Jenny De Nucci, che interpreta Chiara. "Jenny è stata subito molto entusiasta, voleva cimentarsi in qualcosa di diverso", prosegue Abbate. "Lei è molto appassionata di thriller. Non un ruolo semplice, perché doveva interpretare un personaggio dalla psiche fragile. Non è mai chiaro se quello che vede sia frutto della sua immaginazione. Questa idea di mischiare più piani è una cosa che mi affascina. È bello lasciare allo spettatore i fatti in modo non univoco".
Phobia, la genesi del film
Thriller, romanzo di formazione, e poi ancora dramma famigliare, noir e thriller psicologico. Ma come nasce Phobia? "Nasce da una sceneggiatura di Michele Stefanile e Giacomo Ferraiuolo. In un primo momento andava verso l'horror, ma non era una cosa che mi interessava troppo sviluppare. Abbiamo rimodellato tutto in chiave giallo", spiega il regista, che per toni ed estetica si rifà al cinema americano e al cinema nord europeo. "Sono accostamenti che ci possono stare. C'è un apprezzamento e la voglia di riproporre la classicità di un cinema americano, ormai passato di dieci anni. Tutto però rielaborato, per creare cose nuove".
Phobia, la recensione: un buon thriller psicologico sospeso tra verità e apparenza
Da Michael Mann all'esordio alla regia
Spiazzante il finale, criptico il soggetto. Phobia stimola l'attenzione del pubblico, che si domanda quanto ci sia di vero nelle visioni di Chiara. "Ci sono dei momenti reali dichiarati, altri no. Tuttavia, sono momenti volutamente lasciati in sospeso, con il giudizio rimandato a chi guarda il film", dice Antonio Abbate, che poi si sofferma su quanto sia importante studiare, evitando riferimenti ma pensando però ai più grandi. Come l'esperienza avuta sul set di Ferrari di Michael Mann, nel ruolo di aiuto-regista. "Bisogna guardare film, leggere. Ho sempre trovato spigolosi i modelli di riferimento. Ma Michael Mann è un grande. I suoi film sono tutti dei capolavori. Avevo iniziato con lui per preparare il set di Ferrari. Per lui c'è solo il film, nessun altra distrazione. Per nessun motivo. È accurato, preciso".
Da Michael Mann a Phobia, e l'esperienza maturata in diversi set. Un background che ha permesso ad Antonio Abbate di maneggiare con la necessaria padronanza la sua prima regia. "Non ero nuovo al set, chiaramente è diverso poi quando ricopri il ruolo di regista. Aver fatto esperienza prima mi ha aiutato, molto, ad evitare alcuni errori. In questo senso è stata utile la gavetta. Ho studiato regia, poi sono diventato aiuto regista, per opere italiane e internazionali". E il futuro? In arrivo: "Sono a lavoro su diverse cose, non vedo l'ora di poterne parlare!".