Phantosmia, recensione: l'estrema cinéphile di Lav Diaz per un mastodontico trattato anti-violenza

Quattro imponenti ore per il nuovo film dell'autore filippino, tornato alla Mostra del Cinema di Venezia per esplorare il concetto di violenza come archetipo umano. Estremo, immobile ma anche rivelatorio ed esistenziale.

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L'estrema cinefilia di Lav Diaz, che rifiuta le regole del ritmo, sposando invece la prospettiva legata all'esistenza, al linguaggio, alla profondità delle immagini che diventano flusso di un mastodontico approccio all'arte e al cinema. Sappiamo quanto il regista filippino sia sinonimo di importanti durate cinematografiche. Un cinema di quadri, di concetti, di un umore che segue il mezzo puro della comunicazione. In mezzo, però, una spiazzante e alternata esplorazione dei generi. Palcoscenico delle sue opere, spesso e volentieri, Venezia. Fin dal 2007, quando passò con Death in the Land of Encantos (che durava ben 540 minuti), e arrivando poi al 2022, con il thriller (a proposito di generi) When the Waves Are Gone. Stesso palco, poi, per Phantosmia che, nella metrica di Diaz, è anche relativamente breve: 246 minuti.

Phantosmia Ronnie Lazzaro Foto
Ronnie Lazzaro, attore protagonista

Certo, si potrebbe pensare, anche a ragion veduta, che Lav Diaz sia un autore estremo, poco incline al compromesso, pensato per i circuiti festivalieri. Eppure, dietro i suoi film - e dietro Phantosmia - potrebbe esserci nascosto il valore puro del cinema stesso. Racconti di vita, di morte, di donne, di uomini. Racconti sociali, politici, collettivi nel racconto tra individualità e geografia. Non è da meno Phantosmia, che in un fulgido bianco e nero (alla fotografia lo stesso Diaz, che come al solito ha firmato anche il montaggio e la scenografia), appositamente studiato, riflette sul potere infettivo e traumatizzante della violenza.

Phantosmia: la puzza della violenza

Phantosmia Hazel Orencio Sequenza
Hazel Orencio in Phantosmia

Se è davvero relativo argomentare sul ritmo, certo è che l'incipit di Phantosmia è quasi proibitivo. Solo dopo quasi un'ora la sceneggiatura inizia a prendere forma, fluidificando verso quella che sarà la storia principale. Al centro Hilarion Zabala (Ronnie Lazaro), ex generale dell'esercito, afflitto da un problema: sente una persistente e nauseante puzza. Un tanfo che lo perseguita, costringendolo a portare una sorta di bandana sul naso. Un tanfo che sente solo lui. Ma il problema olfattivo di Hilario - chiamato fantosmia, ossia odore fantasma -, secondo una dottoressa, non è fisiologico ma mentale: l'uomo soffre di un disturbo post-traumatico, indotto dalla sua esperienza militare. La cura, per contrappasso, dovrà passare proprio attraverso l'orribile realtà da lui vissuta.

Un viaggio lungo quattro ore

In un certo senso, e mai estremizzata nella rappresentazione, Phantosmia è una digressione - impegnativa, non lo neghiamo - sul concetto stesso di violenza. Curioso, considerando quanto il cinema abbia sempre sfruttato il gancio. Curioso perché Lav Diaz, con le sue inquadrature statiche e fisse, negando di contraltare il senso di dinamicità, azzera ogni valenza scenografica, ragionando sull'induzione alla violenza: il protagonista è nato circondato dalla violenza, succube di una fermezza che lo vorrebbe "un guerriero". Più giù, il film, si spinge verso il dovere, da parte dei militari o della polizia, nell'adottare metodi violenti (che generano guerre, dittature, genocidi, apartheid).

Phantosmia Janine Gutierrez Immagine
Janine Gutierrez in una scena del film

Ma dove finisce il dovere, e dove inizia la bieca idiozia della armi? Soprattutto, come si domanda il regista filippino, "perché gli umani si sentono in diritto di uccidere altri esseri umani?". Nell'asciutto e rigido cinema di Diaz, che esclude la musica e anzi lascia risuonare i rumori ambientali in osmosi con la scenografia naturale, si rintraccia quindi la presa di posizione, politica, di netta contrapposizione ad ogni genere di conflitto. Nella trasformazione sentimentale in un abisso che inquadra (letteralmente) il condizionamento di un uomo rispetto alla brutalità. Se la fatica di reggere quattro ore densissime (in cui si alternano sprazzi di altre storie, come quella di una ragazza, costretta a prostituirsi) non è certo poca, Phantosmia ripaga per la sua concentrazione visiva, per la sua costante innovazione, per la sua purezza e, non da meno, per la sua semplice semiotica. Cinema di altissima qualità, sfidante e gigantesca, tuttavia anche e specialmente trattato pacifista di cui dovremmo far tesoro.

Conclusioni

Chiaro che dietro lo sguardo di Lav Diaz ci sia una coerenza estetica e narrativa di estrema profondità, sfidante nella concezione, nella costruzione, nell'ideazione. Una rigidità formale che si accende nelle inquadrature statiche, ma che lentamente avanza verso un centro nevralgico dai tratti rivelatorio ed esistenziali. Phantosmia non è un film facile, né vuole esserlo. Eppure, dentro le imponenti quattro ore di durata, si cela un cinema dalla forte unicità. Per questo, originale e ancora autorevole.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.0/5

Perché ci piace

  • La rigidità coerente.
  • La fotografia.
  • L'assoluta adiacenza ad un cinema di realtà.
  • Il prospetto esistenziale.

Cosa non va

  • Dura comunque quattro ore.
  • Estremo, anche nella sfida verso il cinema stesso.