Se sei un padre, non c'è bisogno di un'epidemia globale perché il tuo mondo cada a pezzi. Se tua figlia muore e tu sopravvivi, la vita in qualche modo finisce lì. Ma anche quando nulla sembra avere senso, bisogna andare avanti, nonostante tutto. È questo che si fa nei videogiochi: procedere cercando di non morire. Sopravvivere per evitare il fatidico game over. Elementi scontati, imperativi quasi banali, che in The Last of Us assumono un significato più profondo e nobile, che sfocia nella riflessione esistenziale. Prima di tutto, però, bisogna porsi una domanda. A chi o cosa si riferisce il titolo? Chi o cosa sono "gli ultimi rimasti"? Facile pensare ai sopravvissuti, a coloro che stanno resistendo ad una terribile pandemia che ha messo in ginocchio un pianeta intero. Oppure può essere lei, l'umanità residua, intesa come ultimo briciolo di sentimento che non vuole proprio arrendersi ad un'esistenza spietata, ormai lontana anni luce da quella condizione che chiamavamo "vita".
E allora, forse, le infezioni sono almeno due: quella esterna che contamina il mondo e dà vita ad abomini infetti e quella privata, interna all'animo dell'essere umano, alterato da un virus spietato che porta all'anestesia totale. Ed è qui, in questo dilemma morale, che si insinua il complesso personaggio di Joel, padre inaridito da una vita balorda, uomo scalfito che pensa soltanto a vivere l'oggi senza più sentire qualcosa. Almeno fino a quando arriva Ellie, che per noi assomiglia a Ellen Page, ma per Joel non può che essere la rievocazione di una figlia ormai perduta.
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Il ritmo della sopravvivenza
The Last of Us racconta di un viaggio verso un'ipotesi di salvezza, diretto verso un vago miraggio. La sua storia non è altro che un faticoso percorso per raggiungere una cura, un antidoto, qualcosa che fermi questo logorio. Nel corso di un lungo cammino, Naughty Dog opta per una narrazione lineare ma tortuosa, disseminata di soste e corse, nascondigli e assalti. Qui il ritmo della storia incide sulla storia stessa con una cadenza narrativa altalenante, sospesa tra l'ansia e la quiete, la frenesia e qualche insperato sospiro di sollievo. Se da una parte emerge la necessità di correre per sfuggire alla violenza di un'umanità impazzita, dall'altra nasce l'esigenza di fermarsi a riprendere fiato, passando una notte dentro la casa di chissà chi, ammirando un tramonto, leggendo un fumetto, cercando di ritrovare sprazzi di una vita normale. La gestione dei tempi è quindi assolutamente bilanciata e coerente con un realismo di fondo che vive di giorni e notti. Il variare del tempo è infatti un altro elemento fondamentale in The Last of Us, anche a livello atmosferico.
Piogge battenti sulle finestre, sprazzi di sole e passi ovattati nella neve accompagnano lo scorrere degli eventi e ne dettano i ritmi stagionali, mentre il giocatore viene preso per mano, condotto poco alla volta in un'atmosfera verosimile di cui fa inevitabilmente parte. Al di là di qualche salto temporale, il racconto del gioco è lineare, affidato a dialoghi scarni, secchi, lontani da qualsiasi enfasi spettacolare e fine a se stessa. Si tratta di una serie di scelte ben precise, che fanno percepire la fatica dei protagonisti e crescere la nostra impetuosa empatia nei confronti di Joel ed Ellie. Accanto a loro e con loro ci sporchiamo, ci affanniamo, scappiamo, dormiamo, sospettiamo, speriamo, viviamo un'esperienza assolutamente totalizzante.
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Generi contaminati
Cadenzato da questo ritmo disomogeneo, il capolavoro di Naughty Dog presenta una grande complessità anche nei generi che mette in scena. Ambientazione e presupposti fanno pensare ad un dramma post-apocalittico, ma The Last of Us è anche qualcos'altro. Molto di più. Il gioco possiede anche il gusto classico di un'avventura esplorativa, in cui assaporare il piacere del backtracking e setacciare con scrupolosità ogni singolo angolo del mondo di gioco. Un mondo dove i caratteri opposti e complementari dei nostri compagni incidono sul gameplay. Da una parte c'è l'incedere deciso di Joel, dall'altra la curiosità e la meraviglia di Ellie. Lui che ama andare dritto verso l'obiettivo, lei che ama girare in tondo. Emerge così lo spirito avventuroso di un viaggio on the road fatto di scorci mozzafiato pieni di puro piacere estetico, ma anche assetato di informazioni e curiosità, al fine di conoscere meglio i resti della vita che stiamo vivendo attraverso appunti sparsi, diari personali, confessioni perdute. Ma non è tutto. Una delle particolarità del titolo è quella di cambiare genere a seconda del nemico che stiamo affrontando. Se le sequenze in cui si affrontano bande di esseri umani sono votate a dinamiche tipiche dell'azione (sparatorie, corse, pugni), nei momenti in cui gli ostacoli da superare (o evitare) diventano i mostri, l'atmosfera si fa gradualmente più cupa e asfissiante, diventa necessario pesare ogni singolo passo, scongiurare il più piccolo rumore, immersi tra spore irrespirabili che impediscono di percepire al meglio gli spazi. Ed è proprio in questi frangenti pieni di pathos, alle prese con creature fameliche che percepiscono il nostro respiro, che il gioco sfiora le corde dell'horror con cenni splatter per chi finisce tra le grinfie dei mostruosi clicker.
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Un mondo che respira
Per quanto il loro sia un racconto di profonda solitudine, Joel ed Ellie non sono mai soli. C'è un altro grande personaggio, silenzioso ma presente, che accompagna le loro gesta nel corso di tutto il gioco: il paesaggio. Vero coprotagonista dell'avventura, l'ambientazione arriva a toccare delle tonalità poetiche inedite per un videogioco, raggiunte anche grazie alla colonna sonora lieve del due volte Premio Oscar (per I segreti di Brokeback Mountain e Babel) Gustavo Santaolalla, capace di contenere tutta la nostalgia di una bellezza ormai seppellita eppure latente. Perché da qualche parte c'è qualcosa di buono che timidamente esiste ancora. Ed è proprio questa perenne nota malinconica a caratterizzare lo scenario di The Last of Us, un agglomerato ibrido di detriti e alberi, di memorie abbandonate e animali ancora in libertà, un luogo dove la Natura respira, è pulsante, incapace di arrendersi alla rovina (immaginario poi ripreso da film come Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie). Per questo capita che, tra strade e foreste, con le mani ancora sporche di sangue per l'ennesimo omicidio inevitabile, si riprenda fiato ammirando un panorama luminoso e ci si meravigli grazie alla semplice e selvaggia bellezza di un gruppo di giraffe dirette chissà dove. L'ambiente di gioco è forse il fattore che più di qualsiasi altro sottolinea l'indubbio valore artistico di un'opera ispirata, dove il disumano dilaga e l'umanità emerge col contagocce in momenti di rara e preziosa meraviglia.
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La fine giustifica i mezzi
The Last of Us vive sospeso tra la catastrofe di tutti e le scelte del singolo, la necessità della cattiveria e la speranza del bene. Perché se runner e clicker seguono il loro istinto frenetico, gli essere umani avrebbero il dono della ragione e quindi della scelta ma, alla fine, i mostri sono quelli prevedibili e gli uomini risultano i più duri da affrontare, i nemici veri, quelli di cui non ci si riesce mai a fidare (neanche se uno di loro è tuo fratello). In questo profondo clima di sospetto, la trama si districa tra nuovi incontri e inevitabili addii, portando il giocatore ad adottare un atteggiamento diffidente nei confronti di chiunque, rimanendo sempre sulla difensiva (per caso vi ricorda The Walking Dead?). Ellie e Joel sono gli unici di cui possiamo fidarci. Una scelta che aumenta a dismisura l'empatia nei loro confronti. Così, mentre il videogiocatore di affeziona a loro, per andare avanti verso i nostri obiettivi, bisogna adeguarsi alla realtà attorno a noi, migliorare, diventare più veloci, più attenti, più armati e trasformarsi in persone altrettanto spietate. I ragazzi di Naughty Dog hanno reso la violenza un elemento narrativo sensato, con un suo peso specifico. Perché quando Joel conficca una mazza puntata nella testa di un uomo o la fracassa con un mattone, è possibile vedere tutta la sua disperazione mai compiaciuta assieme all'assoluta necessità di agire in quel modo brutale per proteggere una persona che rappresenta un ultimo significato. Ellie non è solo la chiave per debellare l'infezione del fungo, ma soprattutto la cura per un uomo che si era perduto nell'assuefazione della sopravvivenza.
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Più di padre e figlia
La grande forza innovativa di The Last of Us non è certo nella sua situazione di partenza, ennesima declinazione di una realtà post-apocalittica abitata da esseri infernali, ma nell'evoluzione che concede ai suoi personaggi, legati a doppio filo da un percorso duro che, paradossalmente, ammorbidisce. Joel ed Ellie sono protagonisti privi di eroismo, ma straordinariamente normali, individui nei quali il videogiocatore si immedesima con facilità, perché simile a loro nelle paure, nei dubbi, nella prospettiva del cambiamento. Questa specie di lente bifocale consente di assumere sempre il duplice punto di vista dei due protagonisti. Siamo alle loro spalle ma in realtà siamo anche dentro di loro, calati nelle loro personalità. La linearità della trama è alterata solo dalle loro pulsioni più intime, una serie di motivazioni che rispondono alla moralità e daranno vita a sconvolgenti colpi di scena, come quel memorabile finale dove esplodono le ragioni del cuore e vince un egoismo impossibile da biasimare.
Il ruvido e l'innocente, l'arido e l'ingenua che canticchia; Joel ed Ellie sono due persone che si conoscono contaminandosi e in qualche modo imparano l'una dall'altra, con la giovane che apprende un pragmatismo cinico fondamentale per andare avanti e l'uomo che attraverso lo sguardo ancora immacolato della ragazza, si riappropria di un motivo per esistere. Un appiglio per vivere, un senso definitivo per andare avanti che il giocatore comprende pian piano, affezionandosi per forza di cose a tutto ciò che si muove sullo schermo. Un'alchimia di anime che sembra aver stregato anche il cinema, come dimostrato da film come Contagious e dalle prime immagini dell'imminente Logan; entrambi basati su un osmotico rapporto uomo/ragazzina all'interno di mondi in bilico. In The Last of Us, per una volta, non siamo solo noi a telecomandare dei manichini di pixel, a tenere le redini della situazione, perché siamo noi ad essere mossi da loro, scossi da una narrazione profonda che mette in gioco la nostra concezione di Giusto e Sbagliato, di accettabile e di aberrante. Una grande storia di umanità in cui non emozionarsi equivale al peggiore dei game over.