Per chi suona la campanella
L'Istituto Pestalozzi di Roma, che dovrebbe rappresentare l'unica roccaforte culturale in un quartiere degradato, è in realtà un luogo di noia per gli studenti che ogni giorno si siedono ai banchi. L'interesse principale dei ragazzi è evitare le interrogazioni (e fin qui, nulla di nuovo) e trovare un po' di tempo per sballarsi. A dispensare pillole blu, polveri magiche e sigarette miracolose ci pensa Alex Donadei, uno studente che in realtà si chiama Daniele, diventato in breve tempo l'idolo di tutti i suoi amici per essere volato dal quinto piano della scuola senza farsi un graffio. Naturalmente, sotto l'effetto di una droga speciale. La sua figura, allontanata con disprezzo dalla maggior parte degli insegnanti, finisce per catalizzare le energie di Daria e Aldo, due professori speciali, un tempo moglie e marito, che sembrano essere gli unici in grado di valicare quel muro di silenzi e dolore che Alex si è costruito nel tempo. Una rigida corazza sistemata con pazienza certosina per rendersi impermeabile al mondo e ad una madre in perenne crisi sentimentale. Se Daria percorre la via del dialogo e dell'affetto, Aldo sfrutta l'arma della musica e della poesia, intravedendo in quel ragazzo tormentato le potenzialità di un artista. L'unica speranza per Alex, quindi, è di afferrare quel salvagente e magari recuperare un rapporto con un padre forse troppo idealizzato.
Doveva essere un atto d'accusa verso la scuola italiana e le sue storture ed in piccola parte Valerio Jalongo riesce nell'impresa, ma La scuola è finita, prima opera italiana in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma perde molta della forza originaria per l'incertezza del registro usato nella narrazione. L'universo dei ragazzi viene descritto con un certo realismo da parte dell'autore capitolino (efficace la sequenza iniziale in cui la classe sembra diventata una specie di locale notturno), questo non si traduce però in una vera e approfondita disamina del microcosmo scuola. E di conseguenza di chi quei banchi li vede (quasi) tutti i giorni. Non sappiamo chi siano questi ragazzi, verso cosa indirizzino la loro ribellione, circondati da un desolante vuoto pneumatico, su cui il regista poco si esprime. Mancano poi quei toni grotteschi che, ad esempio, hanno fatto la fortuna di un film come La scuola di Daniele Luchetti (qui sceneggiatore assieme a Francesca Marciano e Alfredo Covelli). Latita anche l'emozione pura, quella palpitante commozione che dovrebbe scaturire spontanea davanti alla realtà dura e cruda di un adolescente dichiarato già irrecuperabile dai "grandi".
La tragedia di certe situazioni, come la passeggiata sul cornicione da parte di Alex-Daniele completamente strafatto o la disperata corsa in motorino ad occhi chiusi, non vengono mostrate in tutta la loro drammaticità. Stesso discorso quando si lascia giustamente il passo a momenti più leggeri (i duetti con il professore chitarrista), in cui però il sorriso non è mai liberatorio.
Movieplayer.it
2.0/5