Il regista e sceneggiatore Felice Farina porta sul grande schermo un apprezzato libro di Enrico Deaglio, Patria 1978-2010, costruendo la vicenda di una protesta per la chiusura di una fabbrica allo scopo di innestarvi una rievocazione di trent'anni di storia italiana.
Un'operazione ambiziosa e con molti potenziali spunti di interesse dalla quale ha avuto origine Patria, lungometraggio presentato nella sezione Giornate degli Autori alla 71° edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.
La classe operaia va in paradiso
Francesco Pannofino, che dopo le sue esilaranti performance del regista René Ferretti in Boris continua a subire un sostanziale typecasting con poche varianti, ha qui il ruolo di Salvo, un operaio del Meridione sull'orlo di una crisi di nervi, con corredo di problemi familiari e una vecchia automobile che ha deciso di abbandonarlo nel momento meno opportuno. Quando apprende che la fabbrica in cui lavora rientra in un progetto di dislocazione e pertanto si prepara a chiudere, Salvo, in preda ad una furia incontenibile, decide di arrampicarsi su una delle torri della fabbrica, minacciando di uccidersi se non saranno convocati i notiziari televisivi per prendere atto della sua protesta. A tentare di dissuaderlo è il suo più pacato e raziocinante collega Giorgio (Roberto Citran), sindacalista ormai rassegnato e pronto ad adottare una linea più "morbida"; almeno fino a quando non si ritrova in cima alla torre in compagnia di Salvo, decidendo di unirsi alle sue rivendicazioni. I due uomini, senza saperlo, sono in comunicazione via radio anche con Luca (Carlo Gabardini), il custode della fabbrica, austistico nonché dotato di una memoria prodigiosa, il quale, nel corso della notte, si aggiungerà a loro...
Italia mon amour
Sulla base di una vicenda drammatica, ma raccontata con punte di umorismo grottesco (non così efficace, a dire il vero), Felice Farina apre una finestra su uno dei periodi più fatidici della storia italiana contemporanea, inserendo numerosi filmati di repertorio, spezzoni televisivi e altri documenti relativi ad alcune delle pagine più cupe della cronaca politica e giudiziaria successiva al 1978: il terrorismo negli anni di piombo, gli omicidi da parte della criminalità organizzata, lo scandalo del Banco Ambrosiano, il maxi-processo contro la Mafia, la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Tangentopoli e Mani Pulite. A tal proposito, Farina ha affermato - in maniera quantomeno pretestuosa - di aver tratto ispirazione dal capolavoro Hiroshima mon amour di Alain Resnais (in cui però l'intreccio fra la realtà presente e la memoria era costruito in tutt'altra maniera); il problema, in Patria, è che non solo la complessità e l'importanza di tutti gli avvenimenti succitati sono ridotte a qualche fugace citazione e a un didascalismo posticcio e un po' confuso, ma che le gravose questioni tirate in ballo non trovano alcun reale "appiglio" rispetto alla situazione di Salvo, Giorgio e Luca.
E non basta attribuire ai personaggi una caratterizzazione stereotipata e sopra le righe - in particolare per Salvo, protagonista macchiettistico e berlusconiano accanito che si esprime per frasi fatte, lontano anni luce dal magnifico Gian Maria Volonté de La classe operaia va in paradiso - per conferire l'adeguato spessore ad un prodotto fiacco ed artificioso, animato magari da buone intenzioni, ma che sconta inevitabilmente la sua drastica superficialità.
Conclusioni
Presentato nella sezione Giornate degli Autori del Festival di Venezia 2014, Patria di Felice Farina vorrebbe ripercorrere i momenti più sanguinosi e fatidici dell'ultimo trentennio di storia italiana innestandoli su una vicenda d'attualità raccontata con toni di umorismo grottesco: ma l'amalgama fra le due diverse anime del film non funziona affatto, e il risultato è una tragicommedia dalla struttura narrativa debolissima e drasticamente superficiale.
Movieplayer.it
1.5/5