Parco giochi per serial killer
Per una volta chi scrive non si sente infastidito dalla modifica del titolo Mindhunters nel nostrano Nella mente del serial killer, perchè il richiamo, ingiustificato e inopportuno, al brillante saggio del criminologo John Douglas, Mindhunters appunto, sa quasi di bestemmia considerando l'impostazione e il tono di questo thriller di Renny Harlin.
Il soggetto di Wayne Kramer da cui muove la vicenda offre molti spunti: isolati su un'isola/campo di addestramento, otto aspiranti profiler dell'FBI si trovano a dover fare i conti con una prova ben più complessa di quella prevista, perchè tra di loro si nasconde un vero assassino, che, uno dopo l'altro, li uccide con metodi cruenti e fantasiosi.
Da questo pretesto che sa di Dieci piccoli indiani, la sceneggiatura dello stesso Kramer e di Kevin Brodbin fa pochi sforzi per raccogliere i frutti seminati dalla premessa e si perde in una serie confusa e poco approfondita di luoghi comuni sull'arte del criminal profiling, lasciando il campo alle tendenze da action movie di Harlin.
Fatta eccezione per un paio di sequenze che riescono a tenere in tensione lo spettatore, l'impronta che il regista decide di dare al film è quella del thriller d'azione, enfatizzando l'aspetto spettacolare e chiassoso, soprattutto nelle sequenze delle morti, ottenendo un effetto alla Final Destination, lasciando cioè nello spettatore la curiosità di vedere come il personaggio successivo morirà, piuttosto che la tensione del sapere cosa e quando dovrà succedere o di smacherare il colpevole degli omidici.
In questo pasticcio in cerca di una vera personalità, alcuni attori e attrici del cast cercano di dare dignità e spessore al proprio personaggio, come è il caso, ad esempio, di Kathryn Morris, ma poco spazio Harlin lascia all'approfondimento dei personaggi e si concentra su trovate visive improbabili e scelte discutibili. Su morti messe in scena in modo fracassone e rocambolesco che mancano di presa emotiva ed effetto drammatico.
Detto questo, risulta ovvia la cura e la prepotenza dell'aspetto tecnico del film: una fotografia patinata e suggestiva, effetti speciali efficaci ed eccessivi, una musica d'accompagnamento ricca ma un po' troppo invasiva.
Solo la coppia di montatori Neil Farrel e Paul Martin Smith sembrano ricordare a tratti di essere stati ingaggiati per un film di tensione, per quanto il girato di Harlin glielo possa consentire.
Peccato aver sprecato un buon soggetto scegliendo il modo sbagliato di metterlo in scena.
E peccato non avere un Paul Schrader pronto per girare nuovamente anche questo lavoro di Harlin.
Movieplayer.it
2.0/5