Paolo Calabresi: “Il sistema cinema? Vive di preconcetti. Le piattaforme sono padrone del nostro mondo”

I David di Donatello e le produzioni schiave dell'algoritmo, l'eredità di Mattia Torre e lo snobismo che non serve a nulla: l'attore si racconta dal Riviera International Film Festival

Paolo Calabresi al Riviera International Film Festival

Incontriamo Paolo Calabresi sul tetto di un albergo di Sestri Levante. All'orizzonte la Baia del Silenzio. L'attore è stato tra gli ospiti del Riviera International Film Festival insieme ad Astrid Meloni e Alessandro Mascheroni per parlare de Il Gattopardo, miniserie targata Netflix tratta dall'omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa in cui interpreta padre Pirrone.

La realtà che irrompe ai David di Donatello

Paolo Calabresi Foto Di Gabriele Colafranceschi
Paolo Calabresi

Con in mente ancora i discorsi dei suoi colleghi pronunciati sul palco del Teatro 5 di Cinecittà dove si è svolta la cerimonia di premiazione dei David di Donatello, è impossibile non notare come la realtà del mondo - dalla guerra a Gaza alla situazione dell'industria audiovisiva - sia stata protagonista della serata. In molti hanno sottolineato come il cinema stia vivendo un momento particolarmente complesso. Il simbolo del fatto che non si può più continuare a fingere che vada tutto bene? "Sono d'accordo sul fatto che il reale sia entrato nella versione ufficiale di questa grande kermesse che abbiamo da decenni. Ma la cosa che non mi piace è che deve entrare per forza sempre a tradimento. Come se fosse il blitz di qualche matto o coraggioso", spiega l'attore.

"Come hanno fatto Elio Germano ed altri nel ricevere il premio in quei pochi secondi che hai per dire qualcosa e cercare di infilare un concetto che magari a qualcuno fa meno piacere ascoltare. E questo non mi piace. Penso che queste occasioni dovrebbero lasciare di default lo spazio per poter parlare seriamente - senza appesantire - dei problemi che il nostro mondo ha e che in questo momento sono molto grossi".

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Le insidie dell'algoritmo

Paolo Calabresi è Biascica in Boris il film
Paolo Calabresi è Biascica in Boris

Molti attori e registi da mesi lamentano la difficoltà nel riuscire a far partire progetti, set fermi, film che non trovano distribuzione. Una situazione quasi paralizzata che riguarda e si estende ad ogni maestranza."Voglio essere molto sincero: penso di far parte di una frangia di privilegiati dal punto di vista della quantità del lavoro", ammette Calabresi.

"Questo è anche il frutto di alcune scelte che ho fatto perché, oltre al cinema, ho deciso di non abbandonare il teatro e una certa televisione", continua l'attore. "Ho la fortuna di essere tra i pochissimi che non hanno risentito di questo, ma dal punto di vista della qualità tutto questo, invece, lo sento moltissimo. Ci sono molte meno produzioni e vengono privilegiate quelle che hanno una certezza apparente di successo. Non tanto di botteghino, ma di essere accolte da chi ormai è diventato il vero padrone del nostro mondo, ovvero le piattaforme. Fatta eccezione per Il Gattopardo, che è tutta altra storia, credo che ormai le produzioni meno coraggiose - cioè il 99% - scelgano dei prodotti che piacciono all'algoritmo".

Il Gattopardo Netflix Serie Deva Cassel Saul Nanni
Una scena de Il Gattopardo con Deva Cassel e Saul Nanni

Spontaneo chiedere perché Il gattopardo sia un'eccezione. "Per tanti motivi. Perché ha come radici un romanzo che è inequivocabilmente quello, perché come progetto nasce dieci anni subendo varie evoluzioni", spiega l'attore. "Eppure, appartenendo alla piattaforma più piattaforma di tutte, non risentiva di alcuni condizionamenti di scelte grazie al coraggio della produzione e del regista, che forse non a caso non era italiano. Tanti elementi che lo hanno reso un prodotto che in qualche modo si elevava rispetto a certe dinamiche. Poi alcuni lo avranno certamente criticato. Ero sicuro che quando saremmo usciti molti avrebbero storto il naso. Un certo tipo di critica era anche prevedibile preconcettualmente".

Un premio per Mattia Torre

Giacomo Ciarrapico Luca Vendruscolo Boris Set Mattia Torre
Luca Vendruscolo, Giacomo Ciarrapico e Mattia Torre sul set di Boris

Pochi giorni fa è stata svelata l'istituzione di un premio dedicato alla memoria e all'eredità artistica di Mattia Torre. Un premio nato per promuovere i talenti under 35 dedicato a un'opera inedita dal taglio umoristico o di satira di costume e sociale che verrà consegnato nel corso di una due giorni dedicata a Torre, il 3 e il 4 ottobre, al Teatro dell'Unione di Viterbo. "Il premio è una cosa giusta, bella. Ma io credo che Mattia continui a vivere per tutti noi che facciamo questo mestiere, e anche per chi non lo fa, attraverso quello che ha scritto, fatto, prodotto", riflette Calabresi.

"Ho avuto la fortuna di vivere il suo percorso anche dal punto di vista fraterno. Eravamo veramente molto vicini, lo siamo stati anche negli ultimi tempi della sua vita. Ho avuto il dolore e la fortuna di stare dentro le sue parole per tante cose che ha scritto, di fare una tournée teatrale del suo Qui e ora, un testo meraviglioso. Mi sono accorto nel tempo che quasi tutti i suoi lavori, sempre con quella sagacia e feroce ironia che aveva, parlano di morte. La linea verticale, 456, Qui e ora, sono tutte cose che ha scritto mettendoci questo piccolo ingrediente. Come se qualcosa gli dicesse che faceva parte della sua strada".

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Di scelte rivoluzionarie e snobismo

Se mi lasci non vale - Paolo Calabresi in una scena
Paolo Calabresi

Uno dei grandi problemi del cinema e della serialità del nostro Paese è una certa mancanza di coraggio in termini di scommesse su nuovi volti. Spesso le produzioni si affidano ai "nomi" che sulla carta garantiscono incassi. Ma questo significa anche non permettere a dei talenti di farsi strada o all'industria di aprirsi a nuove possibilità. "È scandaloso quello che succede, altro che coraggio. Non dovrebbe essere neanche definito così", afferma l'attore. "Dovrebbe essere la normalità il fatto che quando si fa un film, un progetto o una serie vengano scelti gli attori giusti per il ruolo. Sembra di dire una cosa assurda, rivoluzionaria, ma sono pochissimi i progetti che nascono con questi presupposti. Quando succede questo, miracolosamente, il successo arriva di conseguenza".

"Il caso di Boris è questo: eravamo tutti sconosciuti. L'unico noto era Pietro Sermonti perché aveva avuto quel lungo pregresso in Un medico in famiglia", continua Paolo Calabresi. "Ma eravamo tutti scelti da Mattia, Giacomo e Luca perché eravamo, secondo loro, giusti per la parte. È una cosa assurda per l'Italia, succede raramente. Non si capisce perché continuiamo a fare questo errore. Non è solo la telefonatina del potente che dice: 'Metti quello al posto di quell'altro'".

La linea verticale: Giorgio Tirabassi e Paolo Calabresi in una scena
Giorgio Tirabassi e Paolo Calabresi ne La linea verticale

"Siamo anche noi responsabili perché è un sistema che vive di preconcetti e pregiudizi. Se hai un certo nome vengono dati più soldi a quella produzione. È una follia. Sono le famose categorie ministeriali che assegnano un certo numero di fondi a condizione che ci sia quel nome piuttosto che quell'altro. Questa è la morte del nostro cinema, della creatività, della ricerca. Del coraggio di fare cose che cambino veramente la strada di questo splendido mestiere che stiamo rischiando di rovinare".

Smetto quando voglio - Masterclass: Paolo Calabresi in un momento del film
Paolo Calabresi in Smetto quanto voglio - Masterclass

"È vero che mi sento un privilegiato, ma in qualche modo mi sento anch'io legato perché quando ero giovane ho sempre fatto la scelta professionale di accettare più o meno tutto quello che mi veniva offerto. Una scelta che consiglierei a tutti i ragazzi che intraprendono questo mestiere, di non avere mai la puzza sotto al naso e lo snobismo di dire: 'Gli occhi del cuore 2 non lo faccio'", prosegue l'attore.

"Io ho fatto anche 'Gli occhi del cuore 2' e 'la monnezza' di cui parla René Ferretti mi ha fatto diventare attore più di quando ho avuto la fortuna di lavorare con Tornatore, Faenza o Bellocchio. Perché quando ti devi confrontare con sceneggiature scritte coi piedi, colleghi cani e un regista che non sa dirigerti, te la devi cavare da solo e devi essere credibile a prescindere da tutto. Se riesci a essere credibile facendo 'Gli occhi del cuore 2' vuol dire che stai imparando il tuo mestiere. Io l'ho imparato così. Quello snobismo che alcuni colleghi hanno è una cazzata".