Recensione Il principe del deserto (2011)

Lo spessore dei personaggi, figure troppo poco sfaccettate e approfondite per stimolare curiosità e interesse, viene sovrastato da un racconto in cui tutto si gioca su frasi ad effetto e sull'enfasi delle immagini.

Essere un arabo è come essere un cameriere al banchetto del mondo, recita con enfasi l'emiro interpretato da Antonio Banderas, assolutamente inconsapevole della fortuna che gli sarebbe capitata di lì a poco con la scoperta dei pozzi di petrolio, un tesoro inestimabile nascosto tra le dune del deserto. Con il ritrovamento dell'oro nero, infatti, gli arabi non solo avrebbero partecipato al banchetto, ma probabilmente lo avrebbero finanziato in toto. Prima di arrivare a questa assoluta certezza, però, anche loro hanno avuto delle belle crisi, anni difficili passati a chiedersi come mai l'Occidente civilizzato fosse così distante e irraggiungibile. Da questo interrogativo parte Il principe del deserto, nuovo film del premiato cineasta francese Jean-Jacques Annaud. Tratta dal romanzo di Hans Ruesch, Il paese dalle ombre corte, l'opera dell'autore transalpino si snoda in un arco temporale piuttosto ampio che copre alcuni decenni del XX secolo.

Siamo nel 1923 quando Amar, sultano di Salmaah, e Nesib, emiro di Hobeika, si incontrano al termine di un'aspra battaglia fra le rispettive tribù. In quanto vincitore è Nesib a dettare le condizioni della pace. Dopo aver preso i figli maschi di Amar, Saleeh e Auda, come garanzia, l'uomo stabilisce che nessuno dei due potrà avanzare dei diritti sulla "Striscia gialla", un vasto territorio desertico troppo 'inutile' per poter essere ancora l'oggetto del contendere. Saggio e comprensivo Amar accetta la tregua e si separa dalla prole con estrema dignità, certo che i piccoli troveranno un rifugio sicuro a casa del suo avversario.

Le mille e una notte

Il principe del deserto, Freida Pinto in un'immagine del film
Il principe del deserto, Freida Pinto in un'immagine del film

In effetti, nei limiti di una situazione non proprio canonica, i due crescono serenamente; mai del tutto ripresosi dalla traumatica separazione dal padre, Saleeh diventa un provetto falconiere mentre Auda, legatissimo alla 'sorellastra' Leyla, legge voracemente ogni tipo di libro, convinto che la cultura sia un'arma importantissima per essere liberi. L'arrivo di un emissario texano di un'importante compagnia petrolifera scombina la situazione. Nesib scopre infatti che il petrolio è concentrato proprio nella "Striscia Gialla", terra che si è impegnato formalmente a non conquistare. Dapprima cerca la via diplomatica alla risoluzione della questione, combinando il matrimonio tra la figlia Leyla e Auda, con la speranza di non creare dissapori con Amar. Poi, dopo l'uccisione di Saleeh, colpito a morte durante la fuga per riunirsi al vero genitore, decide di ricorrere alle armi. Spetta ad Auda, tornato col padre, risolvere il conflitto in atto sfruttando tutte le sue doti strategiche e l'indubbio coraggio che ne fanno in poco tempo un grande condottiero, un capo per la sua tribù, il sovrano illuminato di una nuova patria con cui tutto il mondo dovrà fare i conti e infine un uomo sinceramente innamorato della moglie Leyla, presenza discreta ma costante di tutta la sua vita.

Oro nero

Di carne al fuoco ce n'è davvero tanta in questo film che non si discosta molto dai classici kolossal che ruotano attorno a eroi senza macchia, passionali ed indomiti. Ma qualcosa evidentemente non funziona a dovere se nelle due ore di film si avverte la sensazione che poco sia cambiato nei protagonisti, che non abbiano fatto granché, nonostante il loro continuo andirivieni nel deserto. E' su questo terreno che il cineasta francese perde la sua scommessa; il tentativo più che legittimo di riportare in auge un certo genere di film cozza contro una storia i cui indiscutibili punti di interesse (il confronto tra un Islam tollerante e la becera sete di denaro di certa cultura occidentale, ben rappresentata dalla corsa al petrolio) non trovano un giusto sviluppo e un'adeguata caratterizzazione dei protagonisti.

Conclusioni

Il principe del deserto, Tahar Rahim in un bel primo piano tratto dal film
Il principe del deserto, Tahar Rahim in un bel primo piano tratto dal film

Lo spessore dei personaggi, figure troppo poco sfaccettate e approfondite per stimolare curiosità e interesse, viene quindi sovrastato da un racconto prolisso in cui tutto si gioca su frasi ad effetto e sull'enfasi delle immagini. Per questo l'ironia di certe battute (Per l'amore del cielo è solo un bibliotecario, sbotta Nesib parlando del genero, in realtà letale quanto un esercito di soldati) e la bellezza della messa in scena, chiaramente legata a location naturali mozzafiato, ma curata con apprezzabile attenzione da Jean-Jacques Annaud, si dileguano quando la storia vira verso un epilogo scontato e i discorsi relativi all'opposizione tra tradizione assoluta e modernità confluiscono in una mistura con qualche cliché di troppo e poco equilibrata. In un cast in cui mancano prove memorabili, gli attori si limitano ad eseguire il proprio compito. Tahar Rahim, il prode Auda, e Antonio Banderas, l'infido Nesib, non spiccano per originalità, mentre Mark Strong sa rendere affascinante il mistico Amar. Freida Pinto invece interpreta senza trasporto un ruolo femminile, quello di Leyla, che si limita a guardare il mondo da una finestra, senza interagire con esso.

Movieplayer.it

2.0/5