Apriamo la nostra recensione di Open Arms - La legge del mare con la consapevolezza che questo film dello spagnolo Marcel Barrena abbia vinto il Premio del Pubblico della Festa del Cinema di Roma con parecchi meriti. È un cinema che si rivolge non solo all'impatto emotivo, ma che cerca di scavare all'interno della scorza dura con cui noi spettatori e persone ci proteggiamo per farci provare, nei limiti del possibile, attraverso la proiezione di un'opera, un'esperienza che appare distante. E, come tutte le esperienze, lasciare una traccia. Nel raccontare la storia vera di Oscar Camps, bagnino catalano, che vede cambiare la propria vita nel 2015, il film, fiero della propria onesta e umana posizione, percorre due vie: da un lato mette in scena la storia del protagonista, che vedrà cambiare i suoi rapporti personali; dall'altro, invece, porta lo spettatore in mezzo al mare, a toccare "con mano" (per quanto possibile) le continue tragedie che, spesso, vengono raccontate con superficialità. Il risultato è un film che sembra trattenersi per tutta la durata, per poi esplodere definitivamente nel finale.
Agire secondo coscienza
Oscar Camps è un bagnino catalano che viene colpito dalle vicende che stanno accadendo all'isola di Lesbo, in Grecia. Vari migranti, in fuga dai conflitti del loro Paese, vengono rimbalzati continuamente tra l'Italia e Malta, perdendo la vita in naufragi a cui nessuno sembra interessarsi. Dopo essere rimasto particolarmente colpito dalla foto di un bambino morto, sarà proprio Oscar, insieme ad altri volontari, a partire per l'isola e, senza chiedere nulla in cambio, agire secondo la propria coscienza. Oscar vuole salvare quante più vite umane possibili, tanto da trasformare la propria morale in una vera e propria ossessione, rischiando di recidere i pochi legami affettivi e famigliari, tra cui il problematico rapporto con la figlia Esther. La difficoltà maggiore per Oscar e i suoi compagni è proprio nelle istituzioni e nelle autorità locali che non sembrano interessarsi alle persone che rischiano continuamente la vita per una traversata. Il film prende subito posizione e connota i protagonisti (interpretati da un cast convincente ma un po' sommesso) immediatamente, evitando conflitti interiori e lasciando che la storia si svolga senza alcun dubbio etico su cosa sia giusto fare. L'effetto elegiaco è, in ogni modo, evitato, grazie alla scrittura di Danielle Schleif che non perde mai di vista il cuore del film.
Tra denuncia ed esperienza
Un cuore duplice, perché Open Arms - La legge del mare appartiene a due tipologie di cinema che, forse, non si è più abituati ad assistere in sala. Da una parte, il film intende denunciare apertamente la situazione che, nonostante la vicenda sia ambientata nel 2015, è ancora presente. Il tutto avviene a parola durante un'intervista, posta a metà film, che rappresenta un forte punto di passaggio sia per la stessa narrazione che per il personaggio di Oscar. In questo caso si tratta di un cinema sociale, di chiaro stampo civile, che tende a ricordare e sottolineare l'importanza dell'empatia e della compassione, nel senso filosofico del termine (ovvero di comprensione verso l'altro). Dove non arrivano le parole ci pensa il linguaggio cinematografico che, caratterizzato dalla scelta della camera a mano, riesce a catapultare lo spettatore all'interno delle dinamiche dei salvataggi, del panico tra le acque del mare, della fatica e della paura, anche della morte. Barrena evita accuratamente ogni forma di spettacolarizzazione, che avrebbe leso la coerenza ideologica e chiara del progetto. Proprio questa chiarezza espositiva, che non ammette repliche né dubbie interpretazioni, tuttavia potrebbe assomigliare a una mancanza di un vero conflitto all'interno della struttura narrativa, risultando - soprattutto nella parte centrale - poco coinvolgente.
Toccare e vedere
I titoli di testa del film, subito schietti e quasi freddi nella loro cronaca, mettono subito le cose in chiaro, donando la chiave di lettura dell'intero film che intende raccontare una situazione, più che la nascita vera e propria di Open Arms. A questo proposito è interessante notare come il titolo originale sia Mediterráneo, che, oltre che il nome del mare dove si svolgono queste tragedie, acquista un valore ulteriore, come fosse un sentimento intimo che ribolle all'interno delle persone presenti nel film. Ed è proprio puntando sui sentimenti che il film esplode in una conclusione davvero riuscita, che eleva l'opera, lasciando da parte le parole e facendo parlare le immagini, gli sguardi, i gesti. C'è una storiella che viene raccontata all'interno del film. Tre viaggiatori ciechi, ognuno intento a toccare una parte dell'animale, non si accorgono di star toccando un elefante. C'è chi pensa sia un uccello, chi un serpente e chi un toro. Così fa lo spettatore: ognuno ha una propria sensazione riguardo la situazione dei migranti nel Mediterraneo. Quello che il film s'impone di fare, più che descriverci l'elefante, è donarci la vista.
Conclusioni
A conclusione della nostra recensione di Open Arms – La legge del mare possiamo dire di essere di fronte a un buon film, diretto con mano sicura dal regista Marcel Barrena. Allo stesso tempo film di denuncia verso le autorità e le istituzioni su una situazione che, dal 2015, anno in cui è ambientato il film, non è troppo cambiata, e film d’esperienza che intende educare lo spettatore e creare un legame di comprensione empatica alle vicende, Open Arms – La legge del mare, anche se non presenta un forte conflitto narrativo, sa dosare i propri ingredienti senza spettacolarizzare il tutto. Un cast buono, non riesce tuttavia a emergere a dovere. Il finale lascia spazio alle emozioni.
Perché ci piace
- L’equilibrio di scrittura che cerca la naturalezza degli eventi e la regia evita le spettacolarizzazioni.
- Il film denuncia la situazione e allo stesso tempo intende far comprendere allo spettatore la situazione, facendogli “vivere” forti momenti.
- Il finale dona quell’impatto emotivo aggiunto.
Cosa non va
- L’assenza di conflitto sembra bloccare il film, soprattutto nella parte centrale.
- Il cast, per quanto buono, non emerge a dovere.