Non è un paese per giovani, a differenza della sua controparte dei fratelli Coen, è un vero spaccato di vita vissuta. Una finestra sul mondo dei ragazzi di oggi, sempre troppo limitati dalla loro patria e costretti ad andare lontano, spesso oltreoceano, per vedere i loro sogni realizzarsi o, per lo meno, contare su un futuro stabile e concreto.
Giovanni Veronesi, cercando di sottolineare l'elemento realistico e veritiero del suo film, apre la pellicola con un'interessante carrellata di piccole clip di ragazzi partiti e che hanno continuato i propri studi, o hanno potuto investire i loro saperi, in un Paese che gli garantiva un futuro certo. Negli occhi di questi giovani, allegri, indaffarati e felici dell'attenzione che quel Paese gli stava offrendo, si legge inevitabilmente quel velo di malinconia, di nostalgia, quella finta speranza di poter tornare nella terra delle loro origini quando, un giorno ancora troppo lontano, ci sarebbe stato spazio per loro.
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Italia vs. giovani
Il triste fulcro di Non è un Paese per giovani è proprio questa constatazione, riflessione della quotidianità attuale, di sentirsi stranieri a casa propria e avere la constante sensazione di non trovare il posto giusto per se stessi; sentirsi trattare come un peso, una zavorra, dal proprio Paese. Giovanni Veronesi non si perde in preamboli. Il suo è un ritratto di un'Italia incapace di invogliare alla crescita. Un'Italia che non celebra la giovinezza ma ristagna nel passato. E lo fa attraverso i personaggi molto differenti tra loro di Sandro (Filippo Scicchitano) e Luciano (Giovanni Anzaldo). Ragazzi con due sogni diversi, inchiodati in una vita da camerieri e che vedono, nel lontano e idilliaco Cuba, una terra promessa.
Sebbene un po' all'avventura, i due hanno un piano ben preciso per il loro soggiorno, definitivo, all'Havana. E nella preparazione, e differenze tra Italia ed estero, Veronesi trova anche il tempo di portare avanti una riflessione molto interessante non solo sui giovani ma anche sui genitori.
Analizzando il contesto sociale e polito entro il quale si sviluppa il film di Veronesi, ci si rende immediatamente conto, attraverso il personaggio di Cesare (Sergio Rubini), padre di Sandro, che l'Italia non è più un Paese neanche per i "vecchi", e che lavorare in un'Edicola non basta più, bisogna inventarsi sempre un'alternativa come, in questo caso, vendere ortaggi sotto periodici e quotidiani.
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Lo spettro della commedia giovanile dei primi duemila
L'immediata impressione che si ha di Non è un Paese per giovani, è quella di un film di rottura, un film molto spigoloso, se vogliamo anche scomodo e che racconta, limitando l'elemento romanzato, la realtà attuale per come appare.
Nel vivo della storia, quando i protagonisti iniziano a prendere più forma e si gioca con lo stereotipo classico, che va ben al di fuori della realtà effettiva delle cose, Non è un Paese per giovani assume quel retrogusto di commedia primi duemila sui ragazzi un po' già sperimentata e vissuta. Sembra che Veronesi tragga spunto proprio da quelli che sono stati i film iconici italiani su ragazzi giustamente incapaci di accontentarsi del proprio Paese, ma spesso limitati dalla mancanza di veri e propri obiettivi o troppo soggiogati dalla pressione dei genitori.
La pellicola è molto leggera e godibile, ma a lungo andare perde lo spessore della premessa iniziale portata avanti dal regista, concludendosi con un finale tra l'amaro e l'idilliaco, sulle note dei Negramaro che contribuiscono a rendere ancora più tangibile l'atmosfera di quel periodo.
Giovanni Veronesi si alterna tra una regia molto pulita e ordinata, peccando in alcune scene più grossolane che sembrano essere girate da una mano molto meno esperta del regista, facendo assumere ancora di più alla pellicola quel retrogusto, un po' forzato, di gioventù esasperata. Il richiamo non è tanto quello di una ribellione verso un Paese incapace di scovare e premiare le grandi iniziative giovanili, quanto più una ribellione di tipo adolescenziale. Una ribellione molto più viscerale e interiore, in particolar modo con riferimento al personaggio di Luciano. Staccarsi dai vincoli, dalle responsabilità e proiezione degli altri sulla nostra figura. Di questo ne risentono moltissimo i dialoghi, a volte sopra le righe altre volte fin troppo colloquiali da non sembrare totalmente realistici.
Vera piccola sorpresa per la giovane attrice Sara Serraiocco, interprete del ruolo di Nora, alle prese con un personaggio molto complesso. Un'eterna bambina che cerca, come meglio può, di darsi da fare, pur riconoscendo i propri limiti. Un personaggio infantile che vuole rappresentare nella sua semplicità quell'innocenza, labile, che ancora fa parte, per fortuna, di questa società. Non è un Paese per giovani di Giovanni Veronesi è un film fresco, simpatico, con delle ottime intuizioni e che porta avanti un tema piuttosto complesso e importante, ma che fa fatica a uscire totalmente dall'involucro di una cinematografia già vista e sentita e che, rispetto al precedente, L'ultima ruota del carro, compie un passo indietro.
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Movieplayer.it
3.0/5