"Ci sono volute quattro ore e mezza per arrivare da Napoli. Con il terremoto hanno ritardato tutti i treni". Incontriamo Giovanni Esposito in un cinema nel cuore di Roma. Fuori pioggia e pellegrini, dentro spettatori che entrano ed escono dalle sale. Esposito però non è arrivato nella Capitale nel ruolo di attore. O meglio, non solo. Ma come regista - sceneggiatore e interprete - di Nero, pellicola presentata al Torino Film Festival, ora in sala.

La storia di un delinquente di mezza età che prova a sopravvivere commettendo piccoli crimini per mantenere la sorella Imma (Susy Del Giudice), affetta da disturbi mentali. Durante una rapina dalla sua pistola parte accidentalmente un colpo che uccide un benzinaio. Nero rimane incredulo quando scopre che l'uomo si è risvegliato illeso. Tutti credono che il miracolo sia opera della "Madonna dei detersivi", una statua che sovrasta il reparto del supermercato. Ma un poliziotto, guardando i filmati di sorveglianza, si convince che sia stato Nero a compiere il miracolo con il potere delle sue mani...
L'importanza della scrittura

Una carriera sconfinata quella di Giovanni Esposito che ha attraversato moltissimi generi e medium. Teatro, televisione, cinema. Produzioni grandi e piccole, set internazionali e piattaforme. Un talento multiforme a suo agio in registri diversi. E poi la voglia di cimentarsi con la regia. "Intorno al 2018/2019 è partito lo spunto con Francesco Prisco. Ogni tanto ci mettiamo lì a parlare a buttare fuori idee sempre molto straordinarie. Massimo Di Rocco di Bartlebyfilm appena ha letto il soggetto mi ha detto: 'Scrivi la sceneggiatura perché lo compro'. E così ha fatto", ricorda il regista.
"Poi è arrivato il Covid e non eravamo più convinti di poter fare il film, però siamo andati avanti a scrivere. Forse è stato un bene perché l'abbiamo fatto con calma, prendendoci tutto il tempo e creando un mondo che ci rappresentasse al massimo e rappresentasse quello che volevo raccontare di questo personaggio. Il film ha avuto una genesi positiva. La scrittura è piaciuta subito e penso che sia il punto di forza del film".
Nero, immigrato con l'atteggiamento da colonialista

Nero vive nella periferia di una periferia. Un luogo dove chi ci abita è lasciato a se stesso, dimenticato, invisibile. Giovanni Esposito lo definisce "un immigrato in un continente di immigrati ma con l'atteggiamento da colonialista". Un'attitudine simile a quella di tanti uomini e donne che, nonostante siano loro stessi abbandonati ai margini, tendono a mettersi su un immaginario gradino più in alto. "Fin quando non gli accade qualcosa - in questo caso di soprannaturale - che lo avvicina di più alla povera gente, a capire qual è la diversità e come doversi comportare, Nero è un colonialista. Lo si capisce da come parla con Bashir o con l'Albanese", spiega Esposito.
"Si comporta come, involontariamente, ci comportiamo anche noi. Come società tendiamo a farlo, fin quando non ci troviamo in un ribaltamento di ruoli totali. Mi piaceva tanto raccontare come la famiglia di Bashir è l'unica che non gli chiede un miracolo. C'è un rispetto totale per il soprannaturale che noi tendiamo a dimenticare. Non ci facciamo più caso. Come se fosse una cosa dove tutto è dovuto o come se tutto fosse quasi finto, da TikTok o da Instagram. E non lo è".
Il valore del sacrificio

Un film sull'importanza del sacrificio, su quello che siamo disposti a compiere individualmente e collettivamente per noi stessi e per gli altri. Un modo del regista di rispondere all'era dell'io e all'individualismo imperante. "Penso che se ognuno di noi fosse disposto ad aprirsi a un piccolo sacrificio, questo creerebbe una catena esponenzialmente positiva per tutti gli esseri umani. Il problema è che abbiamo dimenticato il sacrificio come valore", sottolinea Esposito.
"Ricordo che i miei genitori me l'hanno sempre un po' inculcato. Vengo da un quartiere difficile dove, però, c'è sempre questo il senso di un piccolo sacrificio per cercare di aiutare gli altri. C'era un frate brasiliano che mi raccontava del 'mutirão' che facevano in Brasile. Ognuno aiutava l'altro e questo creava un domino che mette in equilibrio tutto".
L'equilibrio narrativo

Al centro del film il rapporto tra Nero e sua sorella Imma. Facile con tale materiale narrativo scadere in un certo sentimentalismo, nella lacrima facile. Così come era facile cadere nel cliché nel rappresentare la periferia e i suoi abitanti. Invece Nero non dimentica l'equilibrio così come l'ironia. "Sono due aspetti a cui ci tengo tantissimo", confida Esposito.
"Il personaggio di Imma è fondamentale, tiene in equilibrio tutto il film. Susy è straordinaria nel ruolo. Ha avuto grandi difficoltà all'inizio nel riuscire ad approcciarsi alla scrittura. Io avevo bene in testa quello che doveva essere, ma lei leggeva soltanto didascalie. Ho cercato di rassicurarla perché tutto il film passa attraverso quello che vede e pensa il suo personaggio. L'equilibrio tra i due è perfetto. È uno la costola dell'altro dato anche dall'intervento al midollo che hanno avuto da bambini".

"Per quanto riguarda la periferia, sono estremamente affascinato da quei luoghi. Li ho praticati e vissuti", continua il regista. "C'è un dolore tangibile in ogni momento, ma basta scrostare leggermente l'intonaco per trovarci una speranza immensa. Qualche giorno fa parlando con una persona dicevo che forse Miriam Makeba è morta in quei posti dove abbiamo girato proprio perché sapeva che lì c'era la speranza e qualcosa che poteva ricominciare"_.
A fare da sfondo a quei luoghi un mare bellissimo, lucente, vivo che stride con la miseria che bagna. "Lo chiamo un mare che non fa più miracoli", spiega Esposito. "Quando sono andato a fare scouting per le location, gli anziani del posto mi hanno raccontato che era come la Capri degli anni Cinquanta. Man mano è andato tutto deteriorandosi. C'è la pineta più grande d'Europa tutta bruciata da un parassita di cui nessuno si occupa. È un mare che potrebbe essere la risoluzione di tanti problemi e forse un posto dove andarsi a sciacquare un attimo i pensieri".
L'emozione del pubblico

Nero con le sue mani riesce a compiere miracoli. Ma oggi qual è il miracolo che Giovanni Esposito vorrebbe si compiesse? "Quello del sacrificio", ammette il regista. "Che ognuno di noi riuscisse a rendersi conto che sacrificare qualcosa del proprio io e delle proprie convinzioni possa portare alla pace. Vorrei il miracolo della pace".
Il viaggio del film è appena iniziato, ma intanto Nero - tra Torino, le Giornate professionali di Sorrento e altre proiezioni - è già stato visto da una fetta di pubblico. "Stiamo facendo delle anteprime in questi giorni e c'è un'emozione che attraversa tutti comunemente", racconta Esposito. "Siamo reduci da una proiezione a Napoli con una sala piena. Mi sono arrivati dei messaggi meravigliosi, hanno colto le minime cose che avevo in testa e speravo si trasferissero sullo schermo. C'è stata anche una signora che mi ha fermato fuori da una sala di Torre Annunziata dicendomi: 'Vado via perché per me è troppo forte, mi crea troppo dolore'. È assolutamente rispettabile. È il film che volevo fare, sono felice che le persone lo riconoscano".
Noah Baumbach e il set di Jay Kelly

Oltre alla regia e averlo visto negli ultimi mesi in Uonderbois, Io e te dobbiamo parlare e Falla girare 2, Giovanni Esposito ha finito le riprese di Jay Kelly, il nuovo film di Noah Baumbach. "È stata un'esperienza magica perché ovviamente conoscevo i suoi lavori", ammette il regista. "Quando mi hanno chiamato, mi hanno detto che mi voleva proprio lui perché aveva visto delle mie cose. Forse mi voleva perché gli somiglio un po' in certe cose. È un po' un Woody Allen molto particolare".
"Ha il dono di guardare quello che fanno gli attori sul set. Mi è capitato più volte di inventare una piccola cosa di cui non gli parlavo. Ma lui, a un certo punto, diceva: 'Dobbiamo mettere la macchina da presa qua perché Giovanni fa questa cosa che mi porta in un altro mondo e voglio raccontarla'. Ha una grande sensibilità. E poi lavorare con quei mostri sacri (George Clooney e Adam Sandler, ndr) è stata una felicità immensa".