Recensione My father is a hero (1995)

Questo film, diretto nel 1995 da Corey Yuen, rispetta in pieno le regole dell'action hongkonghese condito con elementi di melodramma e commedia. Ad assicurare la presa sul pubblico, il soggetto e la produzione di Wong Jing, e la presenza di una star come Jet Li.

Nel nome del padre

Questo film, diretto nel 1995 da Corey Yuen, rispetta in pieno le regole dell'action hongkonghese condito con elementi di melodramma e commedia. Il soggetto e la produzione di Wong Jing assicurano una forte presa sul pubblico, in un periodo in cui il genere, presso gli spettatori cantonesi, era in netto ribasso: alcuni dei suoi principali artefici, infatti, erano già emigrati a Hollywood o erano in procinto di farlo, ed i generi che "tiravano" di più in quel momento erano quelli del film in costume e della parodia in senso stretto (di cui lo stesso Wong era forse il principale artefice). Sin dalle prime scene, appare evidente la derivazione "wooiana" di questo film: siamo di fronte, infatti, a una storia che segue i canoni del tipico melodramma d'azione hongkonghese, con un forte accento dato ai rapporti interpersonali tra i protagonisti e l'attenzione per le tematiche familiari. Tematiche che qui rappresentano in realtà il centro del film: la storia è incentrata infatti sull'affetto che lega il protagonista a suo figlio, rappresentato in modo semplice, diretto e molto "sentito". Sono le immagini a parlare, e a dare forza e spessore ai due protagonisti e al loro rapporto: come nella scena della gara per trattenere il respiro, con i due personaggi con la testa immersa in una tinozza d'acqua, i movimenti in sincrono che sottolineano il loro legame, le mani che dapprima si sfiorano, poi si abbracciano, e i volti e la musica a sottolineare la dolcezza della sequenza. O come nei ricorrenti flashback in cui Kung, in missione a Hong Kong, torna con la mente ai momenti trascorsi insieme al bambino, in quel momento in pericolo. Anche i temi dell'amicizia e della lealtà, tipici del genere, sono toccati ed affrontati secondo i canoni che di una storia di questo tipo: l'amicizia tra Kung e Uncle Darkle, pronti a sacrificarsi l'uno per l'altro, trova un corrispettivo in quella tra il bambino e il suo amico Fatty, che prende le sue difese quando i compagni lo scherniscono perché ha un padre "criminale". Un motivo presente per tutto il film, questo del parallelismo tra la realtà del piccolo Koo e quella di suo padre Kung: si veda, a questo proposito, anche la sequenza iniziale, ambientata nella palestra in cui il bambino sta partecipando ad una gara di arti marziali mentre il padre è impegnato in un combattimento con i criminali: il sapiente uso del montaggio rafforza l'idea del parallelismo, di destini collegati tra loro da un invisibile filo rosso. La scelta di Jet Li come protagonista non poteva essere più azzeccata: l'attore si cala perfettamente nel ruolo, e garantisce come sempre ottime doti recitative (qui messe in risalto dal soggetto) unite alla consueta prestanza fisica e abilità nei combattimenti. Corey Yuen ha curato da par suo anche le coreografie delle scene d'azione, insieme al suo collaboratore Yuen Tak: i combattimenti sono come sempre accattivanti e ottimamente realizzati, a metà tra lo stile realistico tipico del gongfupian urbano e quello più fantasioso del wire-working, che fa capolino nelle scene finali. L'estetica dei film di John Woo appare invece, di nuovo, nelle sparatorie: soprattutto la sequenza della rapina, girata e montata ottimamente, deve molto agli scontri a fuoco coreografati a cui ci ha abituato il regista di The Killer; la stessa colonna sonora, che da enfasi al carattere melodrammatico della vicenda, appare molto vicina a quelle di alcuni lavori di Woo (specialmente la saga di A Better Tomorrow. Buona anche la scelta degli altri attori, a cominciare dal piccolo Miu Tse (molto bravo anche nelle arti marziali), per finire con una Anita Mui, che riesce a ritagliarsi anch'essa spazi di recitazione di buon livello. La componente umoristica, invero molto controllata, si deve sostanzialmente al contributo di Wong Jing, che tuttavia non risulta mai invadente e si limita a stemperare nell'ironia alcune delle situazioni potenzialmente più drammatiche.
Da recuperare, dunque, questo film, se non altro per rendersi conto di come ad Hong Kong veniva concepita una pellicola di intrattenimento fino a non molto tempo fa: soprattutto ora che lo stesso cinema cantonese sembra in crisi di contenuti, sempre più proiettato verso la rincorsa ai modelli "blockbusterizzati" statunitensi, e che gli stessi Li e Yuen, un tempo colonne portanti di questa cinematografia nei rispettivi ruoli, sono a loro volta emigrati a Hollywood con risultati finora, spiace dirlo, al di sotto delle aspettative.

Movieplayer.it

3.0/5