Che le serie prequel siano il nuovo trend dopo i reboot/remake è quanto mai chiarissimo nel panorama seriale attuale ma allo stesso tempo ce ne sono due in particolare che hanno avuto una gestazione quasi gemellare. Stiamo parlando di NCIS: Origins che arriva dal 16 febbraio ogni domenica in prima serata su Rai2, in accoppiata alla 22esima stagione della serie madre (a sua volta spin-off di JAG). Il progetto ha vissuto un percorso similare a Young Sheldon e The Big Bang Theory, cugine di palinsesto negli Usa sulla CBS.
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In queste ultime era Jim Parsons ad aver fortemente voluto il prequel sulle origini in Texas del Dr. Cooper, diventandone produttore e voce narrante e passando il testimone al giovane Iain Armitage, che ha dato vita ad un ulteriore spin-off/sequel, ancora inedito in Italia, George and Mandy's First Marriage. Nel caso del poliziesco navale, l'amatissimo (dai fan) Mark Harmon, interprete di Leroy Jethro Gibbs, il capo della squadra al centro delle indagini fino alla 19esima stagione, ha contribuito alla creazione di uno show che serve a raccontare l'origin story del suo personaggio.
NCIS: Origins: tra volti conosciuti e personaggi nuovi
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La serie gioca col cuore dei fan, mettendo insieme le versioni più giovani di alcuni protagonisti ben impressi nella loro mente, insieme a qualche necessaria new entry. Austin Stowell incarna la solidità e compostezza di Gibbs, ricordando un po' Reacher in questo, ma mostrandone anche l'istinto viscerale che all'inizio della carriera gli portò non pochi guai, soprattutto da colui che lo recluta all'NIS Mike Franks (un riuscitissimo Kyle Schmid, mentre nella serie originale era interpretato da Muse Watson). Parte della squadra anche Cecilia "Lala" Dominguez (Mariel Molino), ex Marine che cerca di farsi largo in un ambiente lavorativo dominato dagli uomini, su consiglio dell'amica e collega Vera Strickland (Diany Rodriguez, nella serie madre col volto di Roma Maffia).
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La discriminazione sul posto di lavoro è un'altra tematica affrontata dallo show, ma non in modo didascalico, bensì entrando direttamente nel cuore del problema. Nel team troviamo Bernard "Randy" Randolf (un simpaticissimo Caleb Foote che rappresenta la parte comedy), il golden boy che si barcamena tra tecnologia, ricerca tra gli archivi e azione sul campo. È lui che cercherà di far sentire a proprio agio Gibbs con la sua parlantina loquace. Infine immancabile il capo ingerente Cliff Wheeler (Patrick Fischler), che subisce a sua volta le pressioni dall'alto per rendere rivelante Camp Pendleton; e la paziente capo segretaria tuttofare Mary Jo (Tyla Abercrumbie), che deve mettere ordine nel caos che combinano "ragazzi e ragazze". Sono loro il valore aggiunto rispetto al protagonista, un po' granitico.
Una serie prequel frizzante
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Ciò che colpisce di NCIS: Origins è l'identità differente rispetto alla matrice originaria. Rimane sempre un procedurale col caso della settimana - doppio, nel caso del primo episodio speciale che dà il via alla storia - ma ha un ritmo ed un tono più fresco e giovanile, nello spirito del racconto, pur affrontando temi gravosi e militari come il PTSD. Harmon mostra un Gibbs in pensione, calmo e malinconico, che decide di raccontare ciò che non ha mai raccontato agli spettatori, ovvero le sue origini nel bureau.
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Stowell ritrae un Leroy che ha appena perso moglie e figlia e deve affrontare l'elaborazione del lutto insieme ai propri demoni interiori e sensi di colpa per essere partito. Proverà ad aiutarlo il padre Jackson (Robert Taylor, mentre nella serie madre era Ralph Waite). Non è un caso che si parli di valutazioni psicologiche non andate a buon fine che accomunano Gibbs e Dominguez, poli opposti ma più simili di quanto non vogliano ammettere. Sarà la loro formazione che andrà di pari passi con la "scalata al potere" del protagonista.
Conclusioni
NCIS: Origins è una serie prequel che funziona, nonostante il protagonista un po’ granitico, per il cast di contorno, che non diviene solo tappezzeria ma prova a mostrare l’evoluzione dei rapporti all’interno del NIS prima che diventasse l’NCIS. Grazie ad un ritmo fresco ed avvincente, Camp Pendleton può trasformarsi nella nuova casa per i fan del franchise.
Perché ci piace
- L’aura di Mark Harmon che aleggia sul progetto.
- Il cast di contorno, a partire da Lala fino a Randy e Mike, con i temi che si portano dietro e l’evoluzione del rapporto col protagonista.
- Il ritmo più giovanile dell’originale.
Cosa non va
- Austin Stowell è un po’ granitico.
- Rimane comunque un procedurale standard.