Violenza reale e violenza fittizia. La Napoli Napoli Napoli di Abel Ferrara è una città complessa e sfaccettata che il regista decide di esplorare mescolando fiction e documentario in questo ultimo, complesso lavoro in cui il pudore e l'intelligenza dell'autore americano (ma di origine campana) lo aiutano nell'accostarsi a una realtà tutta italiana. Ferrara, che per scrivere il film ha collaborato con alcuni sceneggiatori partenopei, anche in questo caso non rinuncia al suo tocco autoriale intervallando le interessanti interviste con le detenute della Casa circondariale di Pozzuoli con una fiction a tinte forti in cui si intrecciano tre storie che toccano i temi cari al regista: il sesso, la violenza, la criminalità, la religione.
Mr. Ferrara, il suo film ci offe uno sguardo molto interessante su una città per lei straniera prendendo per mano il pubblico e facendogli scoprire aspetti nuovi anche per gli italiani. Come ha lavorato per preparare Napoli Napoli Napoli?
Abel Ferrara: Il film doveva essere molto semplice. Abbiamo cominciato a intervistare i prigionieri del carcere femminile e, sulla base di alcune storie prese anche da alcuni scrittori, abbiamo creato delle piccole storie di fiction. Questo è stato il primo documentario che ho realizzato ed è stato molto organico, dopo ne ho fatti altri due. Non ho intenzione di abbandonare Napoli, ho realizzato il film con poco denaro, ma con molto cuore e spero di tornare presto a girare in questa città.
Tutti gli italiani si chiedono che fine farà Napoli e i napoletani. Lei da straniero pensa che vi sia possibilità di riscatto?Abel Ferrara: Napoli è al di fuori della portata del mondo. E' una città molto dinamica, che è riuscita sempre a cambiare. Mi sono divertito a girare il film perché le mie origini sono napoletane ed è come se avessi un rapporto di sangue con questa città che, dal suo primo giorno di vita, è sempre stato un centro culturale del mondo e ha molto da dire.
La violenza di questo documentario è più ferina, animalesca, quasi preistorica rispetto alla violenza culturale dei suoi lavori precedenti
Abel Ferrara: Napoli mi ricorda un po' la New York degli anni '90. Tutto quello che viene detto proviene dal cuore, anche perché gli intervistati non sapevano come le loro interviste sarebbero state usate. Le tre storie che ho inserito nel film sono vere perché provengono dal cuore degli scrittori che mi hanno aiutato e sono molto felice di averle realizzate perchè dicono qualcosa in più sulla città.
Ha mai pensato di realizzare un documentario vero e proprio, senza inserire i momenti di fiction?
Abel Ferrara: Far parlare le persone davanti a una macchina da presa è già fiction in qualche modo perché è qualcosa che non accade naturalmente. Le storie sono tratte dalla città stessa, c'è molta verità nella finzione e finzione nella verità, ma il problema principale è cercare di catturare la sensazione di un luogo.
Può spiegarci la scelta di inserire nei titoli di coda la sua piccola esibizione canora?Abel Ferrara: E' una scelta del montatore, non so come mai lo abbia fatto. Io non sono un vero e proprio attore del film e non volevo esserci. Non pensavo che la mia presenza fosse importante, ma mi sono ricreduto. Questo, infatti, è un film corale e tra l'altro vi recita anche la mia ragazza. Ho sofferto molto a realizzare la scena dello stupro ai suoi danni, ma sentivo la necessità di inserire queste storie perché vere e estremamente dolorose.
In riferimento alle presunte polemiche sul remake de Il cattivo tenente, Herzog ha dichiarato di non aver alcun problema con lei. E lei che cosa ci dice in proposito?
Abel Ferrara: Non sono arrabbiato né con Herzog né con Cage, sono un regista e conosco bene Nicolas. Il mio problema è con il produttore. Mentre quando ho realizzato Il cattivo tenente avevamo tutti enormi problemi di budget e non avremmo mai potuto rifare la pellicola senza fondi, il film di Herzog è stato realizzato con un budget ricchissimo e tutti faranno molti soldi. Trovo questa situazione ingiusta, ma preferisco lasciar perdere.