La grande forza di Eleonora Danco? Non scendere a compromessi rispetto al materiale narrativo scelto, e anzi proseguire, in modo caotico eppure organizzato, all'interno di un racconto in cui sono le facce e le parole a diventare punto d'ascolto e, forse, punto d'interesse. Dopo N-Capace, in cui a parlare erano i ragazzi e gli anziani (era il 2014, quando arrivò anche una candidatura ai David di Donatello), ecco la sua opera seconda, n-Ego, invece centrato sui volti adulti di un'esistenza volutamente fuori sincrono.
Presentato al Torino Film Festival, quello della Danco non può essere definito (e forse valutato?) banalmente come un film, né come un documentario: c'è lo spirito artistico, lo spazio scenico di un teatro senza palco, rivisto dalla regista seguendo un'infatuazione che supera, per certi versi, il linguaggio sperimentale. Un film-performer, potremmo quindi definire n-Ego, in cui si riflette ad alta voce (e in libertà) sul concetto di maternità e di sessualità, fino all'idealizzazione dell'identità, dell'arte e dalla creatività. Insomma, dentro c'è tutto. E quando c'è tutto, la forma assume un significato secondario.
n-Ego: indagine umana e artistica
"Ti sarebbe piaciuto fare il prete?", o "Hai mai partecipato ad un'orgia?", e ancora "Quale oggetto di piacerebbe essere?", sono solo alcune delle domande che Eleonora Danco, pone, in modo diretto, quasi interrogativo, ai protagonisti (e forse anche un po' a sè stessa) che incontra tra le strade di una Roma che si rifa(rebbe) alle sfumature scenografiche di de Chirico (lo stesso de Chirico che ispira l'abito di scena della Danco, realizzato da Alessandro Lai). Trastevere, il Lungotevere, San Lorenzo, fino a Terracina e Sperlonga. "Semo tutti schiavi col lavoro", sbraita Elio Germano, in una gustosa comparsata che anticipa il finale - interpretando un impaziente tassinaro -, sorreggendo se vogliamo il tono anche insolente di un'opera che sfugge, che si oppone alle definizioni, e che invece si avvicina ad un'umanità ruspante messa insieme dal montaggio di Marco Tecce.
Voci, parole, volti: esempio di racconto anti-cinematografico
Il racconto, se idealmente così possiamo definirlo, è poi scandito da due elementi cardine, che dettano tempo, ritmo e umore: le parole in voice-over della Danco, e poi l'utilizzo della musica (scelta appositamente da Tecce), che ruota attorno alle scene senza mai invaderne lo spazio. Opera ovviamente astratta, in bilico tra i ricordi e il futuro, sospesa come potrebbe essere sospesa Roma, all'alba, prima di schiacciare e ingurgitare migliaia di anime svilite, storte, spaesate, ma anche speranzose, sognanti, coraggiose, magari anche felici. Un corollario anti-cinematografio che, per assurdo, si avvicina al cinema più puro: il cinema delle storie. Ogni personaggio è, infatti, una persona. Che esiste, che resiste. Una persona con i propri demoni e i propri angeli. Cicatrici ed incubi, memoria e amore. Tutto insieme, flusso di coscienza inafferrabile, e se vogliamo illegibile. Confessioni di donne e di uomini, sia ricchi che poveri. Carnevale ed epifania, lo straordinario che ruba il posto all'ordinario.
N-Ego, esempio di storytelling senza punti fermi, le strada di una città irascibile e irrefrenabile, ma ancora "fanciullesca", e senza dubbio universale. Come giudicare, allora, n-Ego di Eleonora Danco? Senza dubbio, la voce della regista, nel marasma canonico di film tutti uguali, e di documentari fini a sé stessi, ha una sua valenza. A volte sbadata, a volte poco comprensiva, per non dire fastidiosa. L'arte che supera la comprensione, qualcuno vorrebbe, e che qui diventa strumento per pochi. Il mezzo di un istinto, se vogliamo, ego-riferito ed ego-accentrato (così, per giocare anche noi con il titolo). Una negazione (guarda caso) che, tuttavia, porta invece ad una rivelazione finale, incompiuta e incompleta, ma anche inspirato nella sua gagliarda lettura. "Qual è il tuo sogno nel cassetto?", chiede la regista ad un'ammaccata trasteverina. "La tranquillità", risponde lei. Che altro aggiungere? Appunto.
Conclusioni
Eleonora Danco e il suo cinema che evade il racconto, superando etichette ed ideologie. Un film più vicino alla performance, che ricalca però la location (una Roma popolare) seguendo le confessioni davvero libere e davvero naturali delle persone immortalate dalla regista. Non un'opera facile, eppure interessante nel suo schema anarchico e libero da obblighi o pregiudizi.
Perché ci piace
- Le voci "intervistate".
- Alcuni temi messi a nudo.
- La scelta delle location
Cosa non va
- Volutamente estremo.
- Anti-cinamtografico, ovviamente.