La dura legge della giungla cinematografica ha emesso la sua inamovibile sentenza: la nostalgia è un'abile e spietata cacciatrice. E noi siamo sue facili e docili prede. Consenzienti a farci coccolare dalla predatrice malinconica, noi spettatori siamo abituati all'eterno ritorno dei nostri miti d'infanzia, quasi assuefatti davanti all'inevitabile versione in live action del mitico, vecchio cartone animato di turno. Dal 2010 in poi, mamma Disney si è travestita da cacciatrice attraverso ricorrenti remake in cui donare carne e ossa al suo infinito immaginario cartoonesco. Un'abitudine che, nel corso degli anni, sembra aver decisamente cambiato approccio narrativo e visivo. Se film come Maleficent e Alice in Wonderland hanno provato a mettere in scena un punto di vista inedito su una storia arcinota, opere come La Bella e la Bestia e Il libro della giungla hanno scelto la via del diligente omaggio attraverso una rievocazione molto (troppo?) rispettosa della fonte originale. Però, lontano dal regno disneyano, c'è chi ha avuto il coraggio di fuggire dalle grinfie della nostalgia. Ed è così che nascono film impavidi come Mowgli - Il figlio della giungla, attualmente disponibile su Netflix.
Girato ormai tre anni fa e in arrivo esclusivamente in streaming su Netflix dopo una travagliata vicenda distributiva (la sua uscita è stata spostata dall'ottobre 2016 all'ottobre 2017 e infine slittata ancora di un anno), il film di Andy Serkis sveste il celeberrimo racconto Il Libro della Giungla di ogni deriva canterina e spensieratezza per creare un universo oscuro e atroce, in cui narrare un doloroso racconto di formazione. Sarebbe davvero ingiusto far vivere questo film nell'ombra del più noto e amato remake diretto da Jon Favreau, ma è anche vero che il confronto tra le due opere resta inevitabile.
Un confronto dal quale Serkis ne esce a testa a alta in termini di visione d'autore, azzardo narrativo e messa in scena, perché il suo film trasuda personalità in ogni foglia e cicatrice. Più vicino alla fonte letteraria di Rudyard Kipling, Mowgli - Il figlio della giungla è sporco di sangue, fango e sudore. Un film che ha avuto il coraggio di azzannare la nostalgia per ritrovare il cuore selvaggio di una grande fiaba.
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Un mondo vivo: l'ambientazione come personaggio
Leggi da rispettare, tradizioni da onorare, razze animali tenute assieme da un sacro patto di convivenza. Il libro della giungla è prima di tutto la storia di un superluogo. Di un posto che non è solo un'ambientazione destinata al ruolo di sottofondo, ma di un contesto vivo e pulsante, capace di condizionare le esistenze dei suoi abitanti. Così, senza perdersi in lungaggini, Mowgli - Il figlio della giungla mette subito le cose in chiaro e stabilisce le regole a cui tutti i suoi personaggi devono sottostare. Il pitone delle rocce Kaa, doppiata con solennità da Cate Blanchett (sentire la sua voce nel prologo ci ha riportato a tolkieniane memorie), assume le fattezze di un saggio spirito della giungla; colei che tutto sa e tutto prevede ci ammalia e ci conduce nella storia del piccolo Mowgli, l'umano cresciuto dai lupi come un lupo.
Il primo grande cambiamento apportato da Andy Serkis, che nei movimenti di macchina circolari e a spirale mostra di aver studiato bene la lezione di Peter Jackson, è la scelta dell'età del protagonista. Qui Mowgli non è più un bambino, ma un ragazzino costretto a vivere i dilemmi della sua irrequieta pubertà. I suoi occhi grandi sono voraci, curiosi, ma soprattutto pieni di domande sulla natura. La sua e quella che lo circonda. In questa selva oscura di dubbi, Bagheera (Christian Bale) e Baloo (Serkis stesso) assumono la forma di due mentori diversi e complementari. La pantera nera è il maestro che insegna ad attaccare e a rispettare anche l'ultimo respiro delle prede, un maestro che non vuole proteggere a oltranza ma mettere Mowgli davanti alla realtà dei fatti. Baloo, meno giocoso e giocondo che in passato, è l'insegnante della difesa e della sopravvivenza. Senza rinunciare a scene cruente e crudeli (una è davvero molto brutale), Serkis dà forma a un Mowgli mai così rabbioso, combattuto, dilaniato da un senso di appartenenza che fa a cazzotti con la sua natura. Nasce così una riuscita metafora sulla perdita dell'innocenza e sui turbamenti che scuotono le fondamenta di ogni adolescente in combutta con le proprie radici.
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Entrambi o nessuno: il dilemma di Mowgli
C'è una bella differenza tra essere umani e diventare uomini. Un labile confine in cui Mowgli si muove sondando un terreno oscuro e minato. Senza mai cadere nella retorica dei buoni e dei cattivi, Serkis crea un sistema morale complesso, in cui ogni personaggio deve fare i conti col proprio vissuto e scegliere in base a un proprio codice etico. Il tutto affidandosi soprattutto a immagini potenti che, nonostante una seconda parte più debole della prima, qualche passaggio brusco (forse frutto di tagli in fase di montaggio) e un finale un po' frettoloso, fanno di Mowgli - Il figlio della giungla un remake sensato, profondo, abilissimo nel riscoprire il senso più autentico delle fiabe. Ovvero quelle storie spesso crude e cruente, mai prodighe di miele e carezze, che passavano attraverso contenuti scomodi per insegnare qualcosa ai più piccoli.
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Però, il grande pregio di questo film destinato ingiustamente al ruolo di "fratello minore" è nella sua capacità di raccontare senza parole, affidandosi soltanto all'aspetto dei suoi personaggi. Se ne Il libro della giungla di Jon Favreau gli animali erano pressoché perfetti e assai verosimili, qui ci appaiono più sgraziati e meno curati nelle movenze, eppure carichi di una personalità stracolma di carisma. Maestro del motion capture ed esperto del mondo animale (qualcuno ha detto Cesare di Apes Revolution?), Serkis dona alle sue creature occhi enormi ed espressivi e un aspetto logoro a tratti respingente. Bagheera, Baloo, Shere Khan (un mellifluo Benedict Cumberbatch) e lo stesso Mowgli sono coperti di cicatrici e ferite, segnati da menomazioni e traumi. Come a dire che è difficile svincolarsi dal passato, impossibile sfuggire a chi siamo stati. Come a dire che nessuno cambia, ma tutti ci trasformiamo in noi stessi. Come ha fatto un piccolo selvaggio, cresciuto come lupo e riscopertosi più uomo di ogni uomo.
Movieplayer.it
3.5/5