Recensione Sakuran (2006)

La regista Mika Ninagawa, al suo esordio cinematografico, è una fotografa dotata di uno straordinario gusto cromatico e compositivo riconoscibilissimi nel film; altrettanto evidente è però la sua inesperienza e l'ingenuità nel maneggiare il mezzo cinematografico.

Moulin Rouge in Giappone?

Yoshiwara, periodo Edo. Sakuran è la storia di Kiyoha che ancora bambina viene portata nel celebre e ricco quartiere a luci rosse per diventare una cortigiana. A nulla servono i tentativi di fuga, Kiyoha crescendo apprende che l'unico modo per andarsene dalla casa di piacere è sposare un ricco cliente. Per la giovane arriva presto la celebrità e con lei spasimanti pronti ad offrirle la libertà desiderata, ma inevitabilmente arriva anche l'amore a distruggere le sue poche certezze.

Se Sakuran fosse realmente, almeno così è stato presentato, soltanto la risposta giapponese a Memorie di una geisha non ci sarebbero particolari ragioni per volerlo vedere; parrebbe superfluo risottolineare l'inutilità e la disonestà del lavoro di Rob Marshall. Richiamo inevitabile è piuttosto quello alla pellicola di Baz Luhrmann, ma anche alla Marie Antoinette di Sofia Coppola. In Sakuran è evidente sin dalle prime scene il medesimo gusto nel trattare e mescolare caratteri contrastanti del presente e del passato, un mix di classicità e modernità che esplode nel barocchismo di ogni componente scenica. Anche il soggetto si struttura su linee simili a quelle dei due film sopraccitati, come in Moulin Rouge la protagonista è una prostituta (un'oiran precisamente), come in Marie Antoinette la trama si articola attorno alla vita e gli amori di una giovane donna costretta a crescere in una casa/prigione.

In Sakuran il meccanismo però si inceppa presto, purtroppo. La regista Mika Ninagawa, al suo esordio cinematografico, è una fotografa dotata di uno straordinario gusto cromatico e compositivo riconoscibilissimi nel film. Altrettanto evidente è però la sua inesperienza e l'ingenuità nel maneggiare il mezzo cinematografico; se da una parte la messa in scena e tutto l'apparato estetico del film sono una traduzione inevitabile del suo straordinario portfolio, dall'altra non si può sottrarsi dal constatare, già dalle primissime immagini del film, l'incapacità nel gestire quegli elementi che differenziano cinema e fotografia. Movimenti di macchina e montaggio sono troppo spesso maldestri, e la sequenza iniziale ne è esempio ideale nel suo tentativo piuttosto zoppicante di presentare coreografandoli volti e scenari del racconto.

Sakuran finisce quindi col non convincere nonostante l'indubbio talento visionario della sua autrice, certo anche poco aiutata da una trama estremamente prevedibile ed una galleria di personaggi altrettanto stereotipata e noiosa (malgrado la presenza della sempre brava Anna Tsuchiya nei panni della protagonista). Ad ogni modo si preferisce concedere a Mika Ninagawa il beneficio del dubbio; le scelte estetiche, soprattutto nella fitta struttura di colori urlati, e la loro ottima combinazione con le musiche si Shiina Ringo fanno in fin dei conti ben sperare per quelli che potrebbero essere futuri progetti cinematografici della regista.