C'è un elemento che segna questo film sin dall'inizio dettandone quasi il ritmo: è il respiro "asmatico" della protagonista e, come vedremo nella recensione di Monte verità (in sala dal 29 giugno), non si tratta di un caso. Una narrazione convenzionale e senza slanci quella del lavoro di Stefan Jäger, ma che ha una sua originalità nello sguardo: il regista svizzero prova a raccontare una storia di emancipazione femminile ripercorrendo gli anni che all'inizio del secolo scorso portarono alla nascita della prima comune hippie ad Ascona in Svizzera, sulla cima del monte che dà il titolo al film. Ad ispirare il regista documentari e libri sul luogo che nel cuore dell'Europa sarebbe diventato catalizzatore delle istanze libertarie della società di fine Ottocento e che avrebbero trasformato il Ticino in un luogo mitologico, santuario di idealisti, anarchici e filosofi animati da una visione della realtà libera da costrizioni e affidata al potere totalizzante della creatività.
Una storia di sguardi
L'intuizione di Stefan Jäger è quella di incentrare la narrazione degli eventi, affiancata dalla consulenza dello storico Andreas Schwab, sullo sguardo di un personaggio femminile di finzione: la donna protagonista di Monte Verità con la passione per la fotografia non è mai esistita, ma a lei il regista affida il compito di creare un ponte con l'oggi. Del resto per sua stessa amissione quello che da sempre lo affascina del cinema è la possibilità di "raccontare temi del passato che riguardano il nostro presente" e in questo caso è la condizione della donna. Non quindi una semplice cronistoria dei fatti, ma una riflessione che abbraccia anche l'attualità e che passa attraverso il respiro affannoso e gli occhi curiosi, appena aperti sul mondo, di Hanna Leitner, giovane moglie e madre di due figlie oppressa dalle etichette borghesi, dall'autoritarismo del marito Anton che la considera come oggetto di puro sfogo sessuale e da una vita matrimoniale che condanna qualsiasi suo sforzo emotivo.
Il viaggio di Hanna comincia nel 1906 a Vienna, quando decide di lasciare la famiglia per raggiungere la comunità che ad Ascona, in Svizzera, si riunisce sul monte Monescia (Monte Verità), luogo abitato da artisti e persone di varia provenienza, tutti alla ricerca di una libera espressione delle proprie inclinazioni. Qui Hanna si affiderà alle cure del dottor Otto Gross per provare a risolvere i suoi problemi di asma e riprendere a respirare. Lontana dal marito che vorrebbe da lei un altro figlio e che non le riconosce altro ruolo se non quello di madre e di moglie, Hanna riuscirà a dare spazio alla passione per un'arte, la fotografia, dalla quale Anton l'ha sempre tenuta lontana, per lui sono solo "ridicole ambizioni". Sarà lei infatti a immortalare i momenti più importati di Monte Verità, trasformando quegli scatti in una preziosa testimonianze dell'epoca.
Un percorso di emancipazione
In realtà di molte delle foto storiche su Monte Verità non si conosce l'autore o l'autrice, non si sa chi le abbia scattate: Stefan Jäger ha voluto immaginare che fosse una donna, l'ha chiamata Hanna (Maresi Riegner) e le ha costruito attorno la storia che vediamo nel film. Una figura femminile di straordinaria forza e coraggio, animata dal desiderio di conquistare lo spazio che la rigida società patriarcale le continua a negare, mentre anima e corpo si dibattono tra sensi di colpa e passioni soffocate che si manifestano in un respiro affannoso. Lo spettatore imparerà a conoscerlo bene sin dalla prima inquadratura, quando Hanna ansima fino a perdere i sensi al termine di una foto di famiglia che cristallizza ruoli ed etichette condensando in un'unica immagine lo spirito di un'epoca.
È attraverso i suoi occhi che impareremo a conoscere Monte Verità e i suoi abitanti: dal controverso dottor Otto Gross, psicanalista dai metodi radicali e discutibili, spesso passato alle cronache come abile manipolatore, a Ida Hoffman una delle fondatrici insieme al marito Henry Oedenkoven, fino a Hermann Hesse, Isadora Duncan, Lotte Hattemer, figlia del sindaco di Berlino; nel film le parole Hanna la definisce una creatura quasi "eterea, alternava momenti di estrema leggerezza ad altri di impenetrabile oscurità". Una girandola di personaggi con cui regista e sceneggiatori cercano di restituire l'atmosfera di quella piccola comunità di naturisti, danzatori, anarchici, idealisti, filosofi e scrittori che perseguirono l'utopia di fondare una società nuova, esattamente l'opposto di quella "fatta di uomini autoritari incapaci di esprimere emozioni".
Peccato che il racconto comprima la realtà dei fatti in figure poco approfondite rischiando di banalizzare la materia trattata; al contrario si riprende quando la narrazione si ricentra su Hanna, la passione per la fotografia e il suo percorso di affrancamento da codici sociali di cui a fare le spese erano soprattutto le donne. "Ho visto me stessa mentre ascoltavo il mio respiro" dirà dopo l'ennesimo scatto che le restituirà una libertà fino a quel momento neanche sognata e che, anche se per poco, abitò tra quelle cime, in mezzo a danze tribali, rituali liberatori e luoghi senza tempo. Un'utopia di "potenza, amore e libertà".
Conclusioni
Monte Verità, come detto nella recensione, si conferma un film senza troppi slanci eppure interessante dal punto di vista del racconto storico e dei rimandi continui all’attualità, a partire dall’emancipazione femminile della protagonista. L’intuizione di Stefan Jäger è quella di incentrare la narrazione degli eventi sullo sguardo di un personaggio di finzione: la donna protagonista di Monte Verità con la passione per la fotografia non è mai esistita, ma a lei il regista affida il compito di creare un ponte con l’oggi. E se è vero che il racconto finisce per essere fin troppo convenzionale sacrificando lo spessore dei personaggi storici citati e rischiando di banalizzare la materia trattata, è altrettanto vera la sua capacità di riprendersi quando la narrazione si ricentra su Hanna e il suo percorso di affrancamento dai rigidi codici sociali dell’epoca.
Perché ci piace
- La capacità di narrare con dovizia di dettagli storici l’utopia di Monte Verità, ad Ascona in Svizzera, dove agli inizi del Novecento idealisti, filosofi e artisti di diversa provenienza avrebbero dato origine alla prima comunità hippie d’Europa.
- L’abilità con cui il regista trasforma gli eventi di Monte Verità in un’occasione per raccontare una storia di emancipazione femminile.
Cosa non va
- Eccezion fatta per lo sguardo originale della protagonista, il film rimane un resoconto piatto e convenzionale.
- A fare le spese di una narrazione che non brilla per originalità sono i personaggi, una galleria di figure storiche prive di spessore, che nulla toglierebbe alla centralità della protagonista.