Ad un certo punto i cyber-horror hanno invaso il mercato audiovisivo. Era all'incirca il 2010. L'ossessione per internet, per le chat, per le video-call, e di tutti quei device sempre più presenti nella nostra vita, veniva allungata in contesti inquietanti, applicando alle produzioni un sottogenere che sarebbe poi esploso: lo screenlife thriller. L'idea del found footage per mezzo di registrazioni VHS, tipico di The Blair Witch Project, è stato dunque influenzato dalle calls via Skype, divenendo una certezza in fatto di espedienti narrativi. Il tempo in presa diretta, e l'azione che si comprime nello stesso spazio visivo di uno schermo del computer: trilli (vabbè, siamo nostalgici), notifiche, avvisi. La webcam che diventa l'occhio del regista, con il ritmo affidato agli attori e alla scrittura. Tra i tanti esempi, divincolatosi dal genere horror, c'è appunto l'ottimo Searching diretto da Aneesh Chaganty, e scritto insieme a Sev Ohanian. Un successo. Scrittura entusiasmante e un divertissement prova di originalità.
Da quel film, ecco il sequel antologico, Missing, diretto dai debuttanti Will Merrick e Nick Johnson. Un sequel che, vista la sua natura autonoma, non si dovrebbe necessariamente paragonare all'originale, ereditando comunque la sua forte natura sospinta dall'alta tensione. Va da sé che i riferimenti tengono un doppio binario, e non mancano gli easter eggs relativi a Searching, pur ribaltando le prospettive e dunque le applicazioni tecnologiche (Skype è superato, ora ci sono FaceTime, Siri, iMessage), intanto che l'estetica e il coinvolgimento giocano un ruolo cruciale, anche se l'introspezione cupa della prima storia pare lasciare maggiormente spazio ad un minore slancio drammatico, e forse ad un minore coinvolgimento (anche) emotivo. Una sfumatura comunque relativa, perché Missing, per il suo meticoloso esercizio narrativo non tende mai a risparmiarsi, e anzi porta avanti (con successo) la sua missione: tenerci incollati alla poltrona.
Missing: la trama del film
Se il plot twist, in Searching, arrivava quasi alla fine, in Missing sembra fin da subito la chiave di svolta, dettando le regole della scrittura. Nel film del 2018 c'era un padre in cerca di sua figlia (quella storia diventa in Missing una serie Netflix), e ora abbiamo una figlia che cerca sua madre seguendo pressoché la stessa struttura, pur con una macroscopica differenza generazionale. Protagonista, June (Storm Reid), fenomenale nel multitasking e con il lutto del papà che torna nei suoi pensieri. Quando va all'aeroporto per riprendere sua madre Grace (Nia Long), partita per un viaggio in Colombia insieme al nuovo fidanzato, Kevin (Ken Leung), scopre che i due sono spariti nel nulla. La ragazza denuncia la scomparsa, tuttavia l'FBI sembra far poco e la burocrazia dell'Ambasciata blocca i progressi investigativi.
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June, in preda all'ansia e al rimorso (il rapporto con la mamma non è idilliaco), utilizza la tecnologia per provare a capire cosa sia successo, portando avanti una sorta di investigazione, dimostrando una capacità di problem solver da nativa digitale: segue gli spostamenti su Google Maps, indovina le password di Gmail, scova i messaggi su una app di incontri, spulcia la cronologia delle ricerche. Mette insieme indizi e indiziati, come fosse una Poirot 2.0. Ad aiutarla, su WhatsApp, c'è Javier (Joaquin de Almeida), collegato dalla Colombia, e rintracciato tramite un servizio di pulizia a domicilio. June mette in piedi una sorta di intricata rete che dovrebbe condurla alla verità, intanto che Missing pone diversi interrogativi. Qualcosa non torna e la verità, scopriremo, è decisamente inaspettata. Non solo, il caso della scomparsa diventerà mediatico, con il gracchiare del web che sembra aver già scelto da che parte stare.
Un film di montaggio
Ecco, tenetevi pronti perché Missing è un tripudio di finestre che si sovrappongono, di chiamate FaceTime, di suonerie, di vibrazioni, di password. Insomma, il nostro ossessivo quotidiano visto sul grande schermo. Il MacBook acceso, la webcam come campo stretto di un'inquadratura verticale, inserita in un contesto allargato e connesso con l'esterno, e quindi alle prese con un linguaggio filmico ricreato in post-produzione. Un lavoro registico sbalorditivo, per merito soprattutto dell'ottimo montaggio di Austin Keeling e di Arielle Zakowski. Un editing che tiene sotto mano il manuale del tempo e dello spazio, sincopando gli eventi come meglio non si potrebbe. Il ritmo, dall'inizio alla fine, è infatti considerevole, nonché bilanciato per non superare mai la soglia dell'incredibilità assoluta (sì, vedendo Missing dovrete far ricorso alla solita suspension of disbelief).
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Non è facile tenere un tono del genere senza ingolfare la macchina, eppure lo slancio di Will Merrick e Nick Johnson è così ispirato che, ben presto, finiamo per credere a tutto, partecipando attivamente alla visione e, di conseguenza, alla disperata ricerca di June. A proposito. Sola, impaurita, sconvolta: Storm Reid regge il suo primo ruolo da protagonista assoluta (nel vero senso della parola) con una certa disinvoltura e con un sincero trasporto, mantenendo tangibile l'attenzione e lo spirito emozionale della sceneggiatura. Se la performance di Reid trasmette la giusta profondità anche via telefono (senza una reale interfaccia), è la sceneggiatura esasperata e sospesa a condurci nel bel mezzo di un climax teso e multiforme, sfruttando gli stilemi del formato screenlife per esaltare il potere nevralgico del thriller. Ah, dimenticavamo: dopo aver visto Missing correrete a (ri)attivare Siri sul vostro iPhone...
Conclusioni
Avevamo un po' perso le tracce degli screenlife thriller, eppure come rimarchiamo nella nostra recensione il genere è ancora efficace e coinvolgente. Per questo, Missing, diretto da Will Merrick e Nick Johnson, offre la giusta dose di intrattenimento, portandoci nel vivo dell'azione, orchestrata e ideata grazie ad un montaggio ad effetto che tiene alto il ritmo. Protagonista una convincente Storm Reid.
Perché ci piace
- La sceneggiatura.
- Il montaggio.
- Storm Reid.
- Il climax, teso ed esplosivo.
Cosa non va
- Chi cerca un thriller canonico, potrebbe storcere il naso.