Era il 1951 quando Miracolo a Milano veniva presentato al Festival di Cannes, diventandone il vincitore della Palma d'Oro (all'epoca chiamata ancora Grand Prix). Un ennesimo successo per Vittorio De Sica che solo tre anni prima aveva realizzato Ladri di biciclette, uno dei film più importanti della storia del cinema mondiale e perfetto esempio, seppur già un po' tardivo, di cinema neorealista italiano. Miracolo a Milano sembra partire esattamente da quegli stessi elementi: il racconto della periferia, dei poveri, della ricerca di un riscatto da parte di orfani e reietti. Elementi che, già alla fine degli anni Quaranta, venivano messi in cattiva luce da parte di una certa classe politica, infastidita dal ritratto dell'Italia che usciva attraverso queste opere. Miracolo a Milano, disponibile per la visione nel catalogo di Infinity, sembra quasi una risposta rivoluzionaria verso quelle lamentele ma anche verso la stessa tipologia di film che stava ormai vivendo una fase calante (e che il successivo film di De Sica, Umberto D., concluderà in maniera quasi definitiva). 70 anni dopo la prima visione, Miracolo a Milano rimane un film che va oltre il neorealismo, capace di mettere in scena la libertà e l'escapismo dalla realtà. E, di conseguenza, rimanere moderno.
"C'era una volta...."
Quattro i puntini di sospensione, andando contro le regole della grammatica, così come il film stesso va contro le regole della pura e semplice realtà. Vittorio De Sica e Cesare Zavattini non vogliono replicare la formula di Ladri di biciclette: vogliono oltrepassarla. Diventati esempi perfetti del cinema neorealista, il loro obiettivo è guardare avanti e sorpassare una formula sin troppo ancorata al reale. Quel "C'era una volta...." iniziale con cui si apre denota già la dimensione fiabesca e stralunata di cui il film è intriso. Persino il modo in cui viene presentato il protagonista, un bambino orfano che nasce sotto un cavolo, come nelle storie, rompe quello specchio del reale e ne costruisce un'alternativa: il realismo magico. È un capovolgimento importante per la cinematografia nazionale dell'epoca e che troverà, poi, sfogo nella poetica di Federico Fellini. Sin dalle prime sequenze, che in breve tempo ci riassumono un'intera infanzia, Miracolo a Milano sembra definirsi come l'ennesimo film ad altezza bambino di De Sica (quasi porgendo lo sguardo indietro a Sciuscià), con una differenza. Se in precedenza il bambino doveva fare i conti con il mondo degli adulti, qui possiamo subito osservare come sia l'adulto, la vecchia Lolotta, a comportarsi con la felicità di un bambino. Nonostante gli anni in orfanotrofio, alla sua uscita una volta cresciuto, il protagonista Totò resterà quel giovane bambino pronto a portare quella magia infantile nel mondo degli adulti.
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La baraccopoli dal cuore d'oro
La strada di Totò incrocerà quella di Alfredo, un vagabondo che lo inviterà nel posto in cui vive: una baraccopoli nella periferia di Milano, un microcosmo di personaggi stravaganti e, in qualche modo, puri di cuore. Nella raffigurazione di questo luogo, De Sica stravolge ancora una volta i canoni del neorealismo. Certo, permane quel ritratto dei poveri che con il dopoguerra hanno perso tutto e sono costretti a vivere in povertà, costruendosi baracche di lamiere. Ma se tipicamente il ritratto neorealista prediligeva una dimensione drammatica e tragica al tutto (che anche in questo film, sotto la superficie, continua a essere presente), qui si rovesciano i toni trasformando il dramma in una commedia, rendendo la tristezza e la cruda vita di queste persone un luogo a cui i vizi e il male non appartengono. Lo si vede da come viene presentato lo stesso posto e la stessa comunità: un luogo dove permane un cielo nuvoloso e cupo, ma dove i raggi del sole fanno capolino per illuminare e scaldare la comunità. Totò si farà portavoce di quella comunità buona che pian piano saprà costruire. L'ingenuità non è più un difetto per poter vivere, ma la chiave di lettura per poter affrontare gli ostacoli della vita. È un film che cerca il buonumore e che si fa beffe dei potenti, dove alcune scene memorabili richiamano la comica delle origini (i due imprenditori che durante l'asta sono così freddi nel dichiarare cifre e numeri, incuranti delle persone intorno a loro, che diventano bestie, cani che abbaiano numeri agli occhi di chi ha il cuore semplice, è ancora oggi uno dei momenti più intelligenti e divertenti del film) e dove si prepara il terreno per un finale che all'epoca fece discutere.
Via verso la libertà
La triste realtà si può combattere solo con la fantasia. È l'escapismo che ci permette di vivere davvero, è la magia che solo il cinema può donare, che sa regalare il lieto fine alla comunità della baraccopoli nel frattempo venduta al signorotto Mobbi. Una colomba magica che esaudisce desideri, regalata direttamente dagli angeli, permette prima la sconfitta temporanea degli uomini di Mobbi che vogliono cacciare la comunità della baraccopoli e poi la definitiva liberazione. Nell'indimenticabile scena finale del film, diventato il momento simbolo tanto da affascinare un regista come Steven Spielberg (e che renderà omaggio in E.T.), Totò riesce a liberare tutti i suoi amici che, a cavallo di una scopa, volano sopra il Duomo di Milano. Il vero miracolo che il film racconta è proprio questa possibilità. Essere finalmente liberi da un mondo che, forse, non è pronto per quella purezza e quello sguardo verso la vita che hanno i protagonisti del film. Non sorprende, allora, che il film all'epoca dell'uscita fu criticato sia dal pubblico più conservatore che da quello progressista, ognuno ritenendolo troppo "di sinistra" o troppo cattolico. Forse il problema maggiore stava proprio nel gruppo di protagonisti, perfetto per la storia che la coppia De Sica/Zavattini voleva raccontare e che si scontrava con quello sguardo cinico che, in qualche modo, continua a influenzare gli occhi dello spettatore contemporaneo. 70 anni dopo e senza nemmeno un sintomo di vecchiaia, Miracolo a Milano rimane non solo un capolavoro del cinema, ma un elogio alla fantasia, un inno all'umanità, un'ode alla speranza. Un film che, nella calura estiva, ha il sapore di un bicchiere d'acqua fresca.