In un periodo come quello attuale, un documentario come Mea Maxima Culpa. Silenzio nella casa di Dio apre suggestioni particolari. L'elezione al soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio (al secolo Francesco I) ha infatti portato, in cattolici e laici, grandi speranze ma anche alcuni dubbi, questi ultimi legati ai suoi controversi rapporti con la dittatura argentina. Le speranze di rinnovamento riposte nel nuovo pontefice, comunque, si incentrano anche sul secolare male della pedofilia nel clero, argomento trattato da questo documentario di Alex Gibney. Questo si concentra, con stile essenziale ma senza sconti, sul caso della diocesi di Milwaukee, in cui il religioso Lawrence Murphy abusò di più di duecento bambini sordomuti, ospiti della scuola da lui retta. La denuncia di quattro ex residenti della scuola, che per anni hanno dovuto subire le violenze e le intimidazioni del sacerdote, ha dato il "la" alla realizzazione del documentario di Gibney, che mostra la rete di complicità (a basso ed alto livello) che copre da sempre i responsabili di simili abusi; il regista fa inoltre due sostanziosi excursus su Marcial Maciel Degollado, influente sacerdote messicano vicino al Cardinale Sodano, e tenuto in gran conto dal vecchio pontefice Karol Wojtyla, e sul prete irlandese Tony Walsh, il cui caso mise in luce un'analoga, inquietante rete di collusioni nei confronti degli abusi nelle diocesi dell'Irlanda.
Il film di Gibney, che verrà proiettato in alcune sale italiane il 20 marzo per poi essere distribuito per l'home video un mese dopo, è stato presentato in conferenza stampa dallo stesso regista, accompagnato dai due vaticanisti Marco Politi (corrispondente de Il Fatto Quotidiano) e Robert Mickens (dal settimanale britannico The Tablet).
Marco Politi: Il nuovo papa ha dichiarato di volere una chiesa povera per i poveri: i poveri più poveri, e disperati, sono le vittime degli abusi che sono stati nascosti. Anche in Italia, in istituti per ragazzi sordi, abbiamo avuto casi del genere. Abbiamo calcolato che potrebbero esserci 3000 casi nascosti nel nostro paese: ci sono state denunce in 200 diocesi, di cui solo quella di Bressanone ha fatto un'inchiesta. Qui, sono venuti fuori negli ultimi 40 anni 15 casi. Se una sola piccola diocesi ha 15 casi, moltiplicando per 200 ne abbiamo almeno 3000.
La "svolta" operata da Benedetto XVI si è arenata sulla trasparenza totale: lui non ha aperto gli archivi della Chiesa. In questo c'è un'inerzia che contrasta con l'attività degli episcopati dell'Europa. Non c'è neanche, a livello diocesano, un numero verde a cui le vittime possano rivolgersi, o un indirizzo e-mail. Oltre al dossier vatileaks, il nuovo papa si troverà anche questo dossier sul suo tavolo.
Robert Mickens: Io scrivo per The Tablet, una testata londinese. Noi fin dall'inizio abbiamo seguito questa piaga: una cosa che abbiamo notato con sorpresa è che le norme della CEI sono molto meno stringenti rispetto a quelle di altri paesi. Le norme, tuttavia, sono efficaci solo quando vengono applicate. La lacuna grave è che i vescovi non sono stati "resi colpevoli" o responsabili. Nessuno è stato considerato responsabile per aver coperto tali crimini. E' un passo che la gerarchia deve fare, specie ora che il nuovo papa dichiara di volere una Chiesa per i poveri. Purtroppo, in Italia, i casi tendono a non venire alla luce.
Alex Gibney: Le cifre sono davvero impressionanti, i casi sono tantissimi. Ma ciò che conta è il volto umano di queste persone. Loro sono i miei eroi, che hanno lottato per tutta la vita perché la loro voce venisse ascoltata. Essere riconosciuti e ascoltati, e ottenere un po' di giustizia: questo è l'obiettivo della loro lotta. Gli archivi, in alcune città come Los Angeles e Milwaukee. sono stati aperti: ma la cosa più grave è che proprio quelli vaticani, invece, per il momento restano chiusi' Gibney, secondo lei, quali sono le responsabilità concrete di Ratzinger? Le sue dimissioni sono legate in qualche modo a questi casi? Alex Gibney: Lui era il capo della Congregazione per la Dottrina della Fede. Era la persona sulla cui scrivania arrivavano tutti questi abusi, quindi sicuramente è la persona più informata al mondo su questi casi: da questo punto di vista ha la responsabilità pratica di non aver portato alla luce le responsabilità. Le sue dimissioni sono l'atto più forte dell'intero pontificato: così ha dimostrato e riconosciuto di non essere in grado di affrontare alcune delle gravi questioni della Chiesa, e ha ammesso di essere un uomo non in grado di portare avanti quel compito. Speriamo che il prossimo si riveli all'altezza.
La figura di Ratzinger, però, nel film appare controversa. Viene infatti accusato, ma poi quasi assolto, quando viene mostrata la decisione nella sua azione nei confronti di Maciel... ostacolata da Bertone. Marco Politi: Il documentario mostra la complessità della sua personalità. Lui ha vissuto le varie fasi in cui la Chiesa si è confrontata col fenomeno: lui stesso è cresciuto con l'idea che la Chiesa deve nascondere certe cose, ed evitare di dare scandalo. Sarà lui, invece, a dire che la chiesa deve parlare, portare alla luce questi casi. E' agli atti che abbia cercato di intervenire per smascherare Maciel, ma che dopo un anno il procedimento era ancora fermo. O Ratzinger non ha avuto il coraggio di parlare, oppure c'era un muro di gomma nello staff di Wojtyla. Non a caso, si è mosso appena morto Wojtyla, e ha subito smascherato Maciel. La sua responsabilità sta nel non aver decretato che i vescovi hanno l'obbligo di denunciare i crimini; questo rende ambigua la posizione di molti vescovi. Il mio auspicio è che Francesco incontri le vittime in Italia e permetta loro di uscire allo scoperto da una cultura del silenzio.
Gibney, nella sua inchiesta ha trovato qualcuno che non abbia avuto coraggio di denunciare gli abusi subiti? Perché, secondo lei, in Italia nessuno, o quasi, lo fa? Alex Gibney: Sì, abbiamo cercato altre vittime, e abbiamo parlato con persone che non sono state così coraggiose. Io spero che la testimonianza di questi quattro eroi possa spingere altri a venire allo scoperto. Non abbiamo avuto modo di esaminare le circostanze italiane così specificamente; volevamo iniziare dalla storia di Milwaukee per salire poi di grado, e arrivare fino ai vertici. Si ripeteva ovunque una specie di schema: io non sapevo che un caso identico si fosse verificato a Verona, così come in altre parti del mondo, ma in ognuno di questi casi lo schema era molto simile.Marco Politi: Uno dei problemi più grandi è il complesso di vergogna e di colpa che viene inflitto alle vittime e non ai criminali. In altri paesi si sono fatti passi più grandi, qui le cose sono più lente: questo anche a causa del sistema giudiziario. Negli USA il vescovo è responsabile per i suoi preti, mentre in Italia invece la responsabilità è individuale, quindi si tende a scaricare le colpe sui singoli. Nella Chiesa italiana regna ancora una certa cultura del silenzio.
Alex Gibney: Uno dei messaggi del film, anche se non così esplicito, sta nel come la società civile abbia preso carico della cosa. Parte della storia riguarda questo, il modo in cui la società civile si è assunta il peso di affrontare questi casi, negli USA come in Irlanda come in altri paesi: il modo in cui la gente ha alzato la voce per denunciare questi casi. L'opinione pubblica, a differenza di quanto successo in passato, ha iniziato a farsi sentire, le persone hanno preso posizione: qualcuno ha avuto il coraggio di denunciare, come a Milwaukee, in cui ho dato grossa importanza a quella prima manifestazione con i volantini col volto di padre Murphy. Quella fu la prima manifestazione in cui si accusava la Chiesa di abusi sui minori. Grazie a queste azioni si possono fare cose concrete: il messaggio è che non si deve solo aspettare che la Chiesa cambi, ma agire. Il documentario adombra l'idea che il rallentamento nella canonizzazione di Wojtyla abbia avuto a che fare con il suo ruolo con Maciel... Alex Gibney: Ammetto di non essere abbastanza informato su questo. C'era grande affetto per Wojtyla nel mondo, in genere si dà per scontato che lui non fosse coinvolto in queste coperture. Il problema, comunque, è nella stessa struttura della Chiesa Cattolica.
Robert Mickens: Nella Chiesa c'è il clericalismo, e a volte questo, tra i fedeli, è peggio che tra i sacerdoti. Il sacerdote è sul piedistallo, e questo è un grosso problema. Il primo problema sollevato da Ratizinger, quando ha parlato di questi casi, è l'orrore che un prete potesse compiere questi atti; non l'orrore che un bambino fosse stato violentato. Anche lui ha l'idea del sacerdozio come atto elevato, del sacerdote come essere ontologicamente superiore: è una cosa che va smontata. Non credo che la beatificazione di Wojtyla abbia avuto a che fare con Maciel, ma comunque l'ordine dei Legionari di Cristo doveva essere soppresso: il suo fondatore era troppo corrotto.
Marco Politi: In realtà, la canonizzazione va avanti più lentamente perché Ratzinger non voleva un eccesso di idolatria per Wojtyla.
Dov'è che il film è stato già mostrato? Ci sono state reazioni da parte del mondo cattolico?
Alex Gibney: Abbiamo avuto una premiere al Festival di Toronto nel 2012, poi abbiamo mostrato il film negli USA, nei cinema, e in seguito sulla HBO, giusto una settimana prima delle dimissioni del papa. Abbiamo avuto reazioni interessanti in Irlanda e in Australia. Negli USA c'è la Catholic League, un'associazione molto attiva che difende il mondo cattolico a prescindere: hanno prevedibilmente denunciato il film, e io stesso ho ricevuto molte e-mail di protesta. La maggior parte erano del tipo "non ho visto il film, ma tu comunque andrai all'inferno". Ma dalla maggior parte dei cattolici le reazioni sono state positive, anche se turbate, perché il film separa nettamente fede e crimini. I quattro eroi del film si sentono fieri, loro hanno portato avanti la loro battaglia per ottenere giustizia, ma anche per evitare ad altri bambini di subire ciò che loro hanno subito. E' stata interessante la reazione dell'arcidiocesi di Milwaukee: hanno detto "è una storia vecchia, ed è un male che questa storia debba riaprire una ferita, causando altro dolore alle vittime." Mi sono sentito scioccato, perché le vittime semmai si sono sentite felici, hanno avuto un momento di riscatto: hanno sentito che forse da lì potevano iniziare a guarire. Secondo me, per l'arcidiocesi questa è stata un'occasione persa.
Marco Politi: Questo film dovrebbe essere proiettato in tutti gli oratori: lì, non si troverà nessuno che non condanni la pedofilia, ma il problema è contrastarla. A Verona si è tenuta una prima riunione nazionale delle vittime, inizia ad esserci un coordinamento anche in Italia, sebbene ancora molto debole. Io vorrei fare un'opera teatrale con tutte le testimonianze delle vittime italiane.
Non trova che, dal film, la figura che esce con più ombre sia quella di Giovanni Paolo II?
Questo è un punto importante. Il fatto è che se qualcuno fa grandi cose nella vita, questo non significa che poi dobbiamo scusarlo o passare sopra a eventuali azioni negative. Ci sono sicuramente delle ombre nel suo pontificato, pur riconoscendo il bene che ha fatto. Per fare una similitudine: quando in America si fabbricano prove false per incastrare i criminali, la polizia parla di corruzione "per una nobile causa". Tra i cattolici, c'è stata l'idea che la "santità" di Giovanni Paolo II abbia in qualche modo scusato ciò che di più discutibile poteva aver fatto.
Marco Politi: In Austria una donna è a capo di una commissione che indaga sugli abusi del clero, a Monaco di Baviera un cardinale ha messo una donna a capo di una commissione con compiti simili, che ha portato alla luce 300 casi verificatisi lì. Molte donne, in Inghilterra, sono a capo di equipe che effettuano compiti di sorveglianza in molte diocesi. Il problema però è quello delle strutture: queste vanno messe in piedi appositamente. Senza strutture apposite, che forniscano un sostegno alle vittime, non si scovano i crimini del passato né si combattono quelli del presente.