È laureata in filosofia, appassionata di neuroscienza tanto da aver pensato di trasferirsi in America per approfondire gli studi. Faceva nuoto sincronizzato a livello agonistico, ma lo ha dovuto lasciare per seguire la carriera di attrice arrivata quasi per caso con Il capitale umano di Paolo Virzì, "perché - ci racconta Matilde Gioli in questa intervista all'Olbia Film Network dove è ospite con La casa di famiglia, opera prima di Augusto Fornari - lo sport di squadra richiede presenza e io non potevo più garantirla; ho provato a incastrare gli impegni, ma in squadra ci devi essere sempre". Dello sport però Matilde Gioli si è portata dietro "il senso del lavoro di gruppo, lo sforzarsi per lo stesso obiettivo e la parte più artistico espressiva", ci dice.
La settimana prossima inizierà a girare a Milano "un film drammatico prodotto da Indiana Production e diretto da Lamberto Sanfelice". Si chiamerà Futura e parlerà di musica: "Il protagonista è un uomo che cerca di seguire le orme del padre, straordinario sassofonista, senza ereditarne però il talento; il senso di fallimento influenzerà tutta la sua vita. Io sarò sua moglie e madre di nostra figlia, avrò il compito non facile di gestire un uomo così infelice e non realizzato".
Dalla passione per le neuroscienze all'esordio con Paolo Virzì
Sono passati degli anni da La casa di famiglia. Che tappa è stata?
È stato uno dei momenti più importanti della mia carriera, non avevo ancora le idee abbastanza chiare su cosa avrei voluto fare dopo Il capitale umano. Ogni progetto era una situazione nuova, mi chiedevo quanto fossi sicura di proseguire con il cinema o se invece non volessi tornare sui libri. Quando invece ho finito le riprese di questo film, ho capito che avrei voluto continuare a fare l'attrice.
Sei arrivata al cinema per caso. Ti chiedi mai come sarebbe andata se non avessi incontrato Paolo Virzì?
Sono laureata in filosofia e quindi di domande me ne faccio tante. Ci penso spesso alle sliding doors, avrei voluto fare il medico; il mio progetto era studiare neuroscienze e trasferirmi in America, quindi chissà in questo momento potrei essere lì a studiare i comportamenti del cervello umano o le cause dell'autismo. Le dinamiche del cervello umano mi hanno sempre affascinato e quando posso cerco di tenermi aggiornata; non mi pento delle scelte fatte, ma mi manca l'idea di studiare.
Mai proposta una sceneggiatura che se ne occupasse?
No, ma c'è un aspetto del mio lavoro che ricorre sempre e che è molto legato alle neuroscienze: l'empatia. Il pubblico vede una storia e si commuove, si agita, ride o ha paura perché empatizza con gli attori e la storia.
Quando un ruolo da cattiva?
Mi piacerebbe molto, sarebbe un enorme percorso di esplorazione. Leggo fumetti sin da piccola, amo la fantascienza, mi affascinano eroine e guerriere, come Giovanna d'Arco, o i personaggi delle storie sci-fi ambientate nel futuro.
Il set de I moschettieri del re e l'amicizia con Diego Abatantuono
Al cinema preferisci ridere o commuoverti?
Ci vado per entrambe le cose. Rido di gusto per tutto, sono facilmente sollecitabile, mentre rido provo una sensazione di benessere ed estasi incredibili. Il pianto è un'altra esperienza sublime, ma mi lascia un po' più acciaccata: quando empatizzo con qualcosa di drammatico, poi mi resta addosso, faccio fatica a recuperare e tirarmi fuori da quell'emozione.
Fai tante prove o ti affidi alla pancia?
Lavoro di istinto, ma mi concentro molto sulla lettura della sceneggiatura, mi faccio raccontare tanto da chi l'ha scritta e dal regista. Faccio molte domande sul personaggio, anche strane: oltre a cercare di capire chi sia e da dove arriva, mi interessa ad esempio sapere se si sveglia tardi o presto, se fa colazione, cosa mangia, o come reagirebbe ad un insulto.
Cosa hai rubato dai vari set su cui hai lavorato?
Sono una ladra, rubo tutto ciò che posso e porto a casa. Ho sempre imparato tanto, il segreto è mettersi in ascolto ed io sono per natura una curiosona, così mi è stata donata una quantità di esperienza straordinaria e dal valore inestimabile.
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Il regista o l'attore che ti ha dato di più?
Difficile da dire, ma mi viene in mente il lavoro straordinario che Giovanni Veronesi ha fatto sul mio personaggio dell'ancella ne I moschettieri del re: ha visto una parte di me molto comica, buffa e goffa e l'ha tirata fuori.
L'amicizia tra colleghi? Hai degli amici in questo mondo?
Assolutamente sì, tra tutti Diego Abatantuono. Abbiamo lavorato insieme in Belli di papà, quando giravamo in Puglia eravamo una grande famiglia e con lui andavamo a fare delle lunghe passeggiate tra gli ulivi; discutendo e confrontandoci ci siamo resi conto di volerci molto bene. Siamo diventati subito amici, condividiamo la passione per il calcio anche se tifiamo per squadre diverse, viviamo entrambi a Milano e ci vediamo spesso per andare a cena o vedere insieme le partite. È una persona di un cuore e una generosità che raramente si incontrano.
La tua attrice del cuore?
Julianne Moore, l'ho vista due volte a Venezia: la prima volta l'ho solo contemplata, la seconda eravamo insieme a una cena e ho avuto il coraggio di parlarle. Mi ha sorriso e mi ha abbracciato, mi fa impazzire non solo come attrice, ha qualcosa di magico.