Maria de Medeiros è grazia pura, un volto da vecchio film muto. Per l'immaginario collettivo è la Fabienne di Pulp Fiction, in pochi conoscono però il suo impegno registico o la passione per la musica, e vederla esibirsi sul palco del Fiumicino Film Festival in una smaliziata performance canora di "Ventiquattromila baci" è semplicemente meraviglia. Una sorpresa dell'ultima serata della rassegna ispirata al tema del viaggio e dove l'attrice portoghese ha ritirato il premio Leonardo da Vinci dopo un incontro con il pubblico in cui si è racconta ripercorrendo i momenti salienti della sua carriera.
"Leonardo da Vinci è un modello di ispirazione - ha detto - perché anche nelle arti non ci siano frontiere. Noi portoghesi siamo viaggiatori, il viaggio nella nostra cultura è ovunque, ad esempio nella passione per le lingue; sono nata a Lisbona ma sono cresciuta in Austria e ho frequentato la scuola francese, sono stata allevata secondo un'idea di mondo senza confini molto prima che l'Unione Europea diventasse come la conosciamo oggi. Dai miei genitori ho ricevuto un'educazione tipica degli anni '70, mi sono sempre sentita cittadina del mondo e dell'Europa, che è la nostra casa con tante culture diverse ma anche molte cose in comune".
La famiglia cinematografica di Quentin Tarantino: I volti ricorrenti del suo universo pulp
Un'artista poliedrica tra musica e cinema
Ha da poco concluso le riprese del suo ultimo film da regista Aos Nossos Filhos, tratto da un'opera teatrale di Laura Castro, la sua seconda co-produzione con il Brasile dopo Repare Bem, un documentario su una famiglia di esuli durante la dittatura militare brasiliana. "Al centro dei miei film - ha raccontato Maria de Medeiros - c'è sempre un'idea di libertà". Nota per il suo impegno civile, non nasconde una inclinazione naturale alla poliedricità, che l'ha portata a incidere anche tre album da cantante: "Mi piace fare un po' di tutto, amo la musica ma non mi considero una musicista, come per esempio mia sorella e mio padre che sono compositori di musica classica. L'ho studiata e mi dispiace non aver continuato", ma la regia e la recitazione sono gli ambiti in cui si esprime meglio.
Il mestiere dell'attore? Quasi un'esperienza mistica, che lei spiega così: "Noi attori siamo come una casa che si deve svuotare per far spazio al personaggio. C'è un lavoro cosciente, razionale e di studio, ma c'è anche una parte di incoscienza, perché non saremo mai in grado di conoscere completamente qualcuno, né gli altri né noi stessi, c'è sempre una parte di mistero e questa è la realtà. Amo l'Actor's Studio ma credo che il suo limite sia pensare di poter sapere tutto di un personaggio; perché un personaggio sia reale è necessario un dialogo incosciente, c'è tutta una parte di magia che sfugge alla razionalità e che semplicemente succede, per questo dobbiamo lasciare lo spazio necessario a quel miracolo".
L'avventura a Hollywood e Quentin Tarantino
Il cinema "è avventura" e così ha vissuto anche gli anni a Hollywood dove arrivò negli anni '90 con Henry & June di Philip Kaufman: "Fu bellissimo, poi in un piccolissimo festival per cinefili ho conosciuto Quentin Tarantino che presentava Le Iene, siamo diventati molto amici e dopo ho fatto Pulp Fiction. Quando lessi la sceneggiatura pensai subito a quanto fosse geniale, i copioni di Tarantino sono scritti benissimo ed è un piacere leggerli, non ho mai conosciuto un attore che abbia cambiato qualcosa: è un classico, come Shakespeare. È la prova di come si possa essere originali senza obbedire ad alcuna regola".
L'idea di fermarsi negli Stati Uniti però non l'ha mai sfiorata, "soprattutto perché in quel periodo preparavo il mio film, Capitani d'aprile, che era diventato un'ossessione, è stata una lotta lunga 13 anni. Mi piaceva andare a Los Angeles, era divertente, ma non mi sono mai vista a lavorare lì, forse per il mio amore verso l'Europa".
Il ricordo più bello la riporta invece in Italia, precisamente sul set de Il resto di niente, il film di Antonietta De Lillo sulla rivoluzione napoletana del 1789: "Eleonora Pimentel Fonseca è forse il più bel personaggio della mia carriera. Scoprire la sua storia mi ha fatto tenerezza. Il suo film è una riflessione sulle rivoluzioni e su come quasi sempre finiscano".