Marco Bellocchio a Roma: “Iniziai come attore al CSC e fu Andrea Camilleri a consigliarmi la regia"

Il regista piacentino è stato protagonista di un incontro con il pubblico alla Festa del Cinema di Roma 2021, dove ha rivelato di aver iniziato al CSC come attore e ha parlato dei film e i registi della sua formazione cinematografica.

Fai bei sogni: Marco Bellocchio sul set del film
Fai bei sogni: Marco Bellocchio sul set del film

Un 2021 pieno di soddisfazioni quello di Marco Bellocchio, tra gli ospiti speciali alla Festa del Cinema di Roma 2021, dove ha preso parte a un incontro con il pubblico per raccontare la propria origin story per così dire. Ciò che lo ha portato a essere il regista che è oggi, con il documentario in uscita Marx può aspettare.

L'inizio come attore

Marco Bellocchio
Marco Bellocchio

L'incontro di Marco Bellocchio alla Festa del Cinema di Roma 2021 è stato per lui l'occasione di rivelare che quando arrivò a Roma pieno di sogni, speranze e passione negli anni '50 si iscrisse al Centro Sperimentale di Cinematografia non come regista ma come attore. Il cambio di formazione arrivò un anno dopo. "Quando arrivai a Roma c'erano due scuole di pensiero, due tendenze per i giovani come me, da un lato il nuovo cinema francese con la Nouvelle Vague, con Jean Renoir e i Gordardiani puristi e assoluti, dall'altro il cinema italiano, che è quello che principalmente mi ha formato. Non solo quello di Fellini, Antonioni e Visconti. Un'altra sorgente di formazione è stata sicuramente l'opera, il teatro". E poi aggiunge: "Vivevamo ancora in un mondo democristiano in cui le sinistre erano all'opposizione, in cui i registi andavano ancora in autobus come diceva Monicelli". Anche la satira e la commedia italiane, che erano inizialmente di opposizione, cambiarono quando cambiarono i pesi politici. Uno dei suoi ricordi all'epoca all'ex cinema Radiocity ora chiuso è stato aver visto Hiroshima mon amour, che lo colpì moltissimo. Ma non è questo il film che segnò un prima e un dopo nella sua formazione.

Marx può aspettare, recensione: essere Marco Bellocchio

Il periodo londinese

Gioventù, amore e rabbia: la locandina del film
Gioventù, amore e rabbia: la locandina del film

Dopo il diploma al CSC: "Io ero diplomato, non come oggi che quando escono dal Centro sono laureati" scherza Bellocchio, che passò due anni a Londra: "Imparai molto bene l'inglese che poi ho disimparato altrettanto bene". A continuare a costruire la sua formazione un tassello dopo l'altro ci pensò il free cinema di quegli anni, il nuovo cinema inglese, come quello di Tony Richardson. Gioventù, amore e rabbia è il film del 1962 di Richardson che segnò un importante momento per Bellocchio, e che in originale si intitola "The Loneliness of the Long Distance Runner" ("La solitudine del maratoneta"). "Ci sono delle scene e delle immagini, dei comportamenti che mi colpirono molto. Il maratoneta che non vince e si ribella a un potere violento che lo aveva oppresso, quella scelta e quella scena furono strategiche nella mia formazione".

Da attore a regista

I pugni in tasca: l'urlo di Lou Castel in una sequenza
I pugni in tasca: l'urlo di Lou Castel in una sequenza

Fu il compianto Andrea Camilleri a consigliare a Bellocchio di cambiare indirizzo, dalla recitazione alla regia, dopo un anno al CSC. Ma quali sono stati gli attori che all'epoca lo affascinavano? "Ognuno hai suoi attori proibiti. Mi innamorai del carisma e del talento di Marlon Brando, la mia carriera d'altronde è sempre stata caratterizzata da grande azzardo ma anche da grande realismo, avevo i piedi per terra nelle mie aspirazioni da attore" e poi continua "Avevo una certa diffidenza per quello che era considerato il poker d'assi all'italiana dell'epoca: Tognazzi, Manfredi, Sordi e Mastroianni". Con quest'ultimo Bellocchio ha lavorato una volta sola, e una volta extra quasi per caso con Gian Maria Volontè. Lavorò con Glauco Mari, che era un tenore e lavorava a teatro. "Da parte mia c'era una provinciale diffidenza nei confronti di queste star che costituivano il box office, che oggi non esiste più, una garanzia di botteghino". La sequenza finale della vasca dal film d'esordio I pugni in tasca (1965) inaugura il tema del melodramma nel cinema di Bellocchio durante l'incontro alla Festa di Roma, altro elemento/genere per lui di formazione. "Se Glauco Mari in un altro film era un tenore che cantava nella vasca il Don Carlos di Verdi in chiave ridicola, qui il pezzo della Traviata in sottofondo si contrappone melodrammaticamente alla fine del personaggio". In Vincere (2009) - di cui viene mostrata un'altra clip - ad esempio è sempre l'impeto del melodramma il motore dell'azione. Accanto a Filippo Timi vediamo il figlio del regista, Pier Giorgio Bellocchio, quasi sempre presente nei suoi film.

Giovanna Mezzogiorno e Filippo Timi in una scena di 'Vincere'
Giovanna Mezzogiorno e Filippo Timi in una scena di 'Vincere'

Marco Bellocchio porta il giovane Mussolini a Cannes con Vincere

"In quel film mi affascinava molto il percorso di Benito Mussolini, forse in America poco noto, che parte dall'essere rivoluzionario di estrema sinistra ateo (se Dio non mi fulmina vuol dire che non esiste) e poi il dittatore che tutti conosciamo, scelta che lo porterà alla morte. Ma voleva anche essere la storia di Ida Dalser, una donna che non accetta di essere messa da parte, più che un'indagine sulla psicologia di Mussolini, che le chiede di restare nell'ombra". Si è parlato poi dell'ateismo spesso dichiarato di Bellocchio: "Io sono un miscredente ma in me c'è un fondo di religiosità", altrimenti non avrebbe fatto un film come L'ora di religione - Il sorriso di mia madre (2002) gli viene ribattuto, d'altronde molti sacerdoti hanno trovato coinvolgente e intrigante quella pellicola: "Se un tuo personaggio bestemmia due volte, questa negazione comporta un coinvolgimento in questo tipo di campo".

I pugni in tasca: Lou Castel e Paola Pitagora in una sequenza
I pugni in tasca: Lou Castel e Paola Pitagora in una sequenza

Proprio ne I pugni in tasca lavorò con Lou Castel in modo del tutto casuale: "Qualche volta si ha la fortuna di sapere già chi interpreterà chi quando scrivi, altre volte no. Nel caso dei pugni in tasca - a parte la solita storia del casting non andato a buon fine di Gianni Morandi - accadde che io ero a mangiare alla mensa del CSC con il produttore e vedemmo un giovane che si sedette a mangiare, un verbaniano, quindi del Nord ma non bobbiese, e questo mi colpì. Quando si fanno i film spesso si trovano gli attori all'ultimo. Per esempio in un'altra occasione per un ritardo Philippe Noiret non poté più partecipare e ora non ricordo come venne fuori il nome di Michel Piccoli" [che ha partecipato a Salto nel vuoto, 1980 e Gli occhi, la bocca, 1982, ndr].

La locandina di Enrico IV
La locandina di Enrico IV

Durante Enrico IV (1984) Bellocchio lavorò con Marcello Mastroianni: "Io lo avevo incontrato qualche volta, era un periodo in cui gli attori avevano degli altissimi di carriera e poi dei bassissimi... uscivamo da Gli occhi, la bocca un film produttivamente disastroso, non fece una lira e allora proponemmo un film dall'Enrico IV (data la mia matrice teatrale). Dato che in quel momento Mastroianni non era particolarmente in auge, accettò a delle condizioni abbastanza abbordabili per noi. Era un uomo molto triste però impeccabile professionalmente. Aveva un grandissimo talento perché non faceva nessuno sforzo a scandire e a dare significato, impeto, discrezione alle parole che recitava". Bellocchio è nato a Piacenza e cresciuto a Bobbio e non dimentica la sua origin story, anzi questa anima piacentina pervade i suoi film, fino all'ultimo di prossima uscita Marx può aspettare in cui è una presenza essenziale che esprime energia: "Rispetto a Parma, Piacenza è sempre stata seconda, noi siamo gente più modesta e concreta" scherza ancora il regista, che nella sua carriera si è diviso spesso fra film tradizionali e piccoli film e corti, a budget ridotto, realizzati d'estate, all'interno delle scuole con gli studenti, storie brevi girate anche in una settimana, che lo hanno portato a importanti riflessioni.

Marco Bellocchio a Ravenna Nightmare: "Esterno, notte capovolge il punto di vista di Buongiorno, notte"

Esterno, notte

Maya Sansa in una scena di Buongiorno, notte
Maya Sansa in una scena di Buongiorno, notte

Chiude l'incontro alla Festa del Cinema di Roma 2021 con Marco Bellocchio una sequenza a sorpresa dalla sua serie tv attualmente in produzione per Rai Fiction, Esterno, notte, tratta dal suo film Buongiorno, notte (2003). Protagonista Fabrizio Gifuni che si è trasformato in Aldo Moro nella postura, nella voce, presente in sala all'incontro per prendersi un fragoroso applauso dopo la clip. La serie vede nel cast tra gli altri anche un mefistofelico Toni Servillo nei panni di Papa Paolo VI. "Forse la mia prima e ultima serie tv, oramai ho un'età, mi stanco facilmente" scherza Bellocchio, raccontando com'è nata l'idea dello spin-off televisivo dal suo film. Da una foto con Aldo Moro in giacca e cravatta sulla spiaggia, impassibile, insieme alla figlia in costume come gli altri bagnanti: lo aveva colpito molto e da lì ha pensato di indagare la personalità, il sequestro, la prigionia e la morte, anche dal punto di vista di chi gli stava accanto.

Marco Bellocchio stringe il Pardo d'oro alla carriera tributatogli dal festival di Locarno
Marco Bellocchio stringe il Pardo d'oro alla carriera tributatogli dal festival di Locarno

Nelle tre sequenze mostrate a Cinecittà - nel set già esistente dell'antica Roma e su due ricostruiti per San Lorenzo fuori le mura e San Pietro - vediamo proprio Gifuni e Servillo in azione e l'assalto delle Brigate Rosse a un negozio, dove appare il manifesto del film Anima persa di Dino Risi (1977). "Un Risi sempre più depresso e incapace di far ridere in quel film" dice Bellocchio "infatti non ebbe il successo di altre sue opere. C'erano tante anime perse all'epoca, come in ogni epoca, del resto ci sono anche oggi nel periodo che stiamo vivendo". C'è un prima e un dopo per l'Italia con il sequestro Moro, così come per Oliver Stone e gli americani la morte di JFK: "Alcuni storici dicono che tutta una classe politica è andata in crisi e i partiti tradizionali hanno iniziato a boccheggiare. Non si è passati ad un regime autoritario, però il fermento politico che ho conosciuto da bambino, con i comizi di Togliatti e De Gasperi, oggi è inimmaginabile. Meno del 50% è andato a votare a queste ultime elezioni, all'epoca si arrivava al 90%. La morte di Moro segnò una svolta nella storia d'Italia. Tutti pensavano lo avrebbero liberato e invece..."