Compiere diciotto anni. Per la maggior parte dei ragazzi è oltrepassare un'invisibile linea tra il mondo adolescenziale e quello adulto. Una tappa che combacia con quelle conquiste effimere grazie alle quali sentirsi (apparentemente) grandi. Ma spesso finisce per non cambiare poi molto nella quotidianità, ritrovandosi a scimmiottare, magari, comportamenti che in fondo non ti appartengono ancora. Non è così per Manuel (Andrea Lattanzi), neomaggiorenne finalmente libero di poter uscire da un Istituto per minori privi di sostegno familiare dove ha trascorso buona parte della sua vita.
Un momento importante reso ancor più impegnativo, emotivamente e psicologicamente, perché a quel ragazzo appena rientrato nel mondo viene chiesta una responsabilità molto più grande della sua età. Sua madre Veronica (Francesca Antonelli) ha ancora due anni di carcere da scontare, ma se lui, giuridicamente adulto, la prendesse in carico li potrebbe passare ai domiciliari. Una libertà, appena assaporata, da barattare per amore.
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"Mi sento soffocato"
Presentato nella sezione Cinema nel giardino della 74ª Mostra del Cinema di Venezia, Manuel è il primo film di finzione di Dario Albertini. Il regista romano che dalla fotografia è passato progressivamente al videoclip e al documentario esordendo nel 2013 con Slot - Le intermittenti luci di Franco nel quale racconta la storia di un giocatore d'azzardo compulsivo. Co-produzione Bibi Film e TIMVISION Production, Manuel è l'ideale sequel di un altro lavoro documentaristico di Albertini. Si tratta del La Repubblica dei ragazzi, del 2015, con il quale il regista ha raccontato la nascita della struttura nata nel secondo dopoguerra con l'intento di aiutare ragazzi privi di supporto familiare. Proprio l'uscita di uno di loro al compimento dei diciotto anni è stata d'ispirazione per il suo lungometraggio, già accolto con entusiasmo in Francia e in molti festival europei.
Un consenso meritato perché Dario Albertini ha saputo mettere in scena "una storia semplice" - come lui stesso la definisce nelle note di regia - con un'intensità sensibile e mai esibita. La macchina da presa segue Manuel nel passaggio dal dentro al fuori, dall'ultima notte nell'Istituto al "mondo reale". Da quella protezione soffocante, ma nella quale era al sicuro, al ritorno a quella vita interrotta con l'arresto materno. Andrea Lattanzi, qui al suo esordio in un ruolo da protagonista, incarna le sfumature emotive di Manuel riportandone dolcezza, imbarazzi, paure e malinconia con profonda aderenza. Albertini lo pedina con primi piani e macchina a spalla che spesso escludono dall'inquadratura i personaggi che gli gravitano attorno. Un taglio documentaristico capace, però, di fare un passo indietro in sequenze e parentesi intime che ne amplificano l'impatto emotivo sullo spettatore.
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"Dipende tutto da te"
Un film dal respiro post neorealista ambientato nella periferia di Civitavecchia ma decontestualizzato geograficamente per meglio permettere che la storia di Manuel assuma contorni universali. Questo nonostante una grande attenzione al linguaggio grazie alla quale i dialoghi sono quanto di più vicino al verosimile. Un'aderenza al reale che non preclude però ad Albertini l'inserimento di parentesi oniriche, forse derivate dall'universo immaginifico legato al videoclip, che rendono il film anche l'insieme delle sue tante anime registiche (con tanto di riferimento al cinema di François Truffaut).
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Così Manuel si attesta come ritratto del fulmineo percorso di formazione di un ragazzo costretto da avvenimenti più grandi di lui a fare "il triplo della fatica degli altri". Tutto per amore della madre, o meglio, di quella figura simbolica e di ciò che rappresenta visceralmente una persona, in definitiva, estranea. Una donna che, invece, di permettere a quel figlio, al quale già una volta aveva strappato la libertà, di iniziare la sua vita assaporandone la meritata leggerezza gli chiede di sacrificarsi per la sua. La storia di un'attesa, di un ragazzo che trattiene il respiro.
Movieplayer.it
3.5/5