Ci siamo chiesti a lungo su come iniziare la nostra recensione di Malcolm & Marie, cercando di approcciarci nella maniera migliore a questo film disponibile su Netflix e con protagonisti assoluti John David Washington e Zendaya. Ce lo siamo chiesto perché il film di Sam Levinson è una mosca bianca nel panorama cinematografico attuale, un film che sembra provenire da un'epoca in cui i film (e l'arte in generale) sfuggivano dalle etichette per seguire un istinto primigenio del loro creatore. A nostro modo potremmo etichettare un film come Malcolm & Marie definendolo un film indie, un esercizio di stile, un prodotto furbo per mettere in mostra regista e attori, un'opera che non vuole dire nulla. Potremmo chiuderci in un critico cinismo e affermare che nel bianco e nero ricercato delle immagini e nelle scelte stilistiche e contenutistiche del film si nasconde una voglia di farsi notare attraverso un'ostentata autorialità. Un terreno scivoloso, senza dubbio. Se non che sono proprio questi film, a prima vista così semplici da definire eppure così sfuggevoli, che riportano l'arte cinematografica al suo stato più puro ed essenziale: la voglia, lo stimolo, la possibilità di poter raccontare una storia, di mostrarla a un pubblico, di lasciare che sottotesti politici o sociali rimangano nell'ombra o totalmente assenti, di poter intrattenere solo attraverso uno sguardo a tratti voyeuristico la vita di due personaggi. Di conoscerli a poco a poco, di empatizzare con loro, di provare una qualsivoglia emozione. Lo diciamo subito: non è un film che può accontentare tutti, anzi, ma se siete appassionati di un certo tipo di cinema intimo e umano, sincero e quindi libero, Malcolm & Marie è il film che fa per voi.
La miglior serata e la peggior lite
È l'una di notte. Malcolm, un regista, e Marie, un ex-attrice con un passato da tossicodipendente, sono appena tornati a casa dopo una prima del nuovo film di Malcolm. Il regista è su di giri, la proiezione è andata bene, i critici sembrano aver apprezzato l'opera. È la sua miglior serata. Balla per casa sulle note di James Brown, mentre Marie prepara in velocità maccheroni al formaggio, tradendo un nervosismo interiore che non può non esplodere. È l'inizio di un litigio tra i due, una lotta di parole furiosa e a tratti molto violenta intervallata da brevi momenti di pausa, di riavvicinamento, di passione. "La nostra peggior lite", così viene definita da Marie a un certo punto della storia e noi non possiamo che essere d'accordo. Eppure è proprio in questa violenza verbale che Malcolm e Marie stanno, in realtà, gridando il loro amore reciproco. Proprio perché si amano così tanto non possono fare a meno di litigare spogliando il loro rapporto, cercando di vederlo da un occhio esterno e, allo stesso tempo, individuale. Una lite che sarà anche l'occasione di indagare come l'arte, il lavoro e il loro passato possano contaminare la loro personalità, possano filtrare la realtà e possano arrivare a dare per scontata la presenza dell'uno al fianco dell'altro.
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Due interpreti eccezionali
Non vogliamo rovinare la già di per sé semplice trama del film raccontandovi gli argomenti che i due amanti affrontano durante il litigio. Mai come in questo caso è bene mettersi comodi sul divano e assaporare il flusso del racconto lasciandosi trasportare emotivamente dalla situazione. Potrebbero sembrare troppi i 100 minuti quasi unicamente dedicati al dialogo di stampo teatrale, se non fosse che John David Washington e Zendaya riescono nell'impresa quasi impossibile di rendere il tutto assolutamente appassionante e realistico. È grazie ai primissimi piani che, oltre a ciò che viene pronunciato, possiamo indagare anche su quello che non dicono. Lo spettatore si trova così non solo di fronte a due interpretazioni veramente eccezionali, di gran talento, specie considerando la giovane età (soprattutto di Zendaya Coleman, che a 24 anni, è capace di una prova di grande maestria), ma anche a due personaggi che, in qualche modo, pur parlando del mondo del cinema e di un mondo a noi così distante, riescono a colpire una zona comune a tutti noi. Certo, la natura stessa del film non lo rende adatto al grande pubblico generalista. Il film chiede allo spettatore di non cercare significati nascosti: si svolge nella sua semplicità. Sta allo spettatore ritrovare quel grado di empatia necessario per comprendere i protagonisti e la loro storia.
Una lite che va oltre lo schermo: Malcolm contro la critica cinematografica
Un regista che sa di aver realizzato un film di successo, in attesa della pubblicazione delle recensioni. Un'ex-attrice che sembra aver ispirato la storia della protagonista del film. La storia d'amore tra Malcolm e Marie è, forse, la fiamma creativa dell'uno e un'ancora di salvezza per l'altra. Entrambi reagiscono per esprimersi e redimersi, ma solo uno avrà la completa possibilità di farlo. Il litigio tra di loro è l'occasione anche per esprimere i loro punti di vista sull'arte, sul cinema e sul rapporto tra opera e artista. E tra opera e critica specializzata. In un monologo furioso e lunghissimo, Malcolm urla la propria frustrazione sul modo che ha la critica cinematografica di recensire i film, di parlarne e di darli in pasto agli spettatori. Inutile dire che, soprattutto oltreoceano, qualche professionista del settore si è sentito chiamato in causa. Ma, al di là del pensiero del personaggio Malcolm (che non per forza deve risultare specchio del pensiero del regista Sam Levinson) non possiamo che sottolineare questo momento del film come vera e propria chiave interpretativa. Lo dicevamo all'inizio di questa nostra recensione quando definivamo questo film allo stesso tempo perfetto per essere facilmente etichettato e, paradossalmente, inadatto a questa scappatoia "di giudizio" troppo facile. Forse è vero che non tutti i film sono politici, forse è vero che non tutti i film che vediamo vanno considerati come portatori di un significato aulico e potente. Forse la verità è che spesso si ha solo voglia di raccontare una storia, di lasciarsi trascinare da quell'istinto di creazione artistica che registi, attori e scrittori hanno dentro e vogliono soddisfare. Giudicare quel monologo sentendosi presi in causa significa dar ragione al personaggio: incapaci di guardare solo l'opera, i film vengono sempre più giudicati in base a ciò che vorrebbero essere e non a ciò che semplicemente sono.
Sulle esigenze
Malcolm e Marie è stato girato in California durante il pieno periodo della pandemia, nasce dalla voglia di Sam Levinson e di Zendaya di tenersi occupati dopo che le riprese della seconda stagione di Euphoria, la serie teen targata HBO, sono state posticipate. Ecco la nascita di un film: la voglia di creare, di fare. Non a caso il termine latino "Ars" significa non solo "arte", ma anche "mestiere". Nella sua semplicità e schiettezza di contenuti, Malcolm & Marie ricorda quel cinema francese degli anni Sessanta, quel cinema carnale e caldo, umano e intimo (da notare i momenti più rilassati e passionali dove la macchina da presa e il montaggio danno vita a sequenze che sembrano provenire direttamente dal cinema di Truffaut, Godard e Bertolucci), ma anche un cinema nato da un'urgenza creativa da soddisfare entro certi limiti. Non è un film che vuole cambiare la storia del cinema, ma non può lasciare indifferenti.
Perché mentre Malcolm e Marie si raccontano (e ci raccontano), riusciamo a comprendere il cuore del film: un cuore pulsante sul significato dell'arte e del cinema, su cosa vuol dire essere spinti da una creatività artistica, sui sacrifici e sulle contaminazioni, sull'istinto come fiamma magica che permette una creazione di qualcosa per soddisfare una propria esigenza e, successivamente, da regalare al pubblico. Un pubblico che ha tutto il diritto di rimanere anche indifferente davanti a un film in bianco e nero che racchiude un cinema così emotivo e viscerale da risultare anacronistico. Siamo abituati a film che anche se richiedono di essere solamente "sentiti" non possiamo fare a meno di capirli e razionalizzarli entro determinate logiche. Malcolm & Marie, invece, non ci chiede nulla, ma nella sua imprevedibilità fatta di sentimenti, di cambi d'umore, di parole urlate per ferire e riavvicinare e pensieri che ciclicamente tornano a tormentare la felicità, nei suoi balli liberatori, nei canti stonati e fuori tempo, nei baci dolci e nella furia amorosa, nella calma e nelle lacrime, ci ricorda l'esigenza di avere storie su cui specchiarci. L'esigenza del cinema.
Conclusioni
A conclusione della nostra recensione di Malcolm & Marie non possiamo che ritenerci soddisfatti dal terzo film di Sam Levinson. Zendaya e John David Washington sono due furie di raro talento in questo dramma da camera girato in un bianco e nero elegante e senza troppi significati nascosti. Forse non catturerà il grande pubblico generalista che potrebbe sentirsi distante dai caratteri e dai discorsi dei due protagonisti, ma riserva tantissime emozioni per chi è capace di lasciarsi andare ed empatizzare coi personaggi. Un film libero nonostante sia girato sotto i limiti imposti da una pandemia, Malcolm & Marie ricorda l’importanza che le belle storie hanno nelle nostre vite. Nella loro semplicità, per il gusto di raccontare.
Perché ci piace
- Fotografia, regia e montaggio donano al film un look davvero perfetto che ricorda i film più liberi e anarchici del passato.
- Zendaya e John David Washington reggono la scena per tutta la durata con un talento immenso.
- Se lo spettatore riesce ad empatizzare con i protagonisti, il film regala emozioni.
- Parla di cinema e di arte, ma anche di relazioni umane, con un calore e uno sguardo intimo che non lascia indifferenti.
Cosa non va
- Dato il background dei protagonisti, non tutti gli spettatori potrebbero ritrovarsi nella loro storia o trovarla interessante.
- Basato quasi unicamente sull’emotività, il film potrebbe venire considerato un mero esercizio di stile.