Ma che bella catastrofe
Dopo pellicole come Independence Day e Godzilla, nelle quali aveva messo in luce il suo gusto per le scene di distruzione ed un certo qual piacere iconoclasta, Roland Emmerich torna al cinema con un altro film che s'inserisce appieno nella grande tradizione del genere catastrofico. The Day After Tomorrow - L'alba del giorno dopo nasce nella mente del regista tedesco quando legge il libro degli scienziati Art Bell e Whitley Strieber, The Coming Global Superstorm, nel quale viene esposta la teoria che sta appunto alla base delle vicende del film: lo scioglimento dei poli causato dal riscaldamento del pianeta potrebbe a lungo andare arrivare a modificare e bloccare la corrente nord-atlantica, sconvolgendo così gli equilibri climatici del globo e facendo sprofondare l'emisfero settentrionale in una nuova era glaciale.
Una teoria che ovviamente prevede un'evoluzione di questo genere svolgersi in tempi misurabili in centinaia se non in migliaia di anni, ma che per ovvie esigenze cinematografiche nel film viene accelerata in maniera esponenziale, facendo accadere tutto nell'arco di pochi giorni.
E così il climatologo protagonista del film, "portatore" delle teorie di cui sopra, rimane lui stesso sorpreso nel veder avverarsi le sue previsioni in tempi tanto brevi. The Day After Tomorrow s'incentra quindi non tanto - come accadeva nei precedenti catastrofici di Emmerich - sul fronteggiare la causa delle catastrofi per debellarla, quanto sulla limitazione dei danni di un processo inevitabile: e limitare i danni in questo caso vuol dire salvare il maggior numero possibile di vite umane. Il protagonista Dennis Quaid deve agire lungo due direttrici principali: la prima - quella comunitaria, su larga scala - è quella che lo porta a fare pressione su un'amministrazione americana colpevole di aver troppo a lungo e fino all'ultimo ignorato i rischi di un politica ambientale troppo superficiale, perché offra una risposta pronta e consapevole a quanto sta per avvenire ed in parte è già accaduto; la seconda - più privata - lo vede protagonista di una disperata missione di salvataggio del figlio adolescente, rimasto bloccato dalla neve e dai ghiacci nella Biblioteca Comunale di New York insieme ad uno sparuto gruppo di sopravvissuti.
Proprio una maggiore attenzione alle vicende dei singoli protagonisti è una delle caratteristiche che più differenzia The Day After Tomorrow dai precedenti catastrofici di Emmerich. In questo film è infatti costante l'oscillare tra una dimensione più generale, sugli spettacolari eventi catastrofici che colpiscono la nostra civiltà e le storie dei singoli gruppi (più o meno numerosi) che rimangono isolati dal progressivo e rapidissimo peggioramento delle condizioni atmosferiche; un equilibrio che si dimostra tutto sommato riuscito, così come quello tra la tragicità delle vicende raccontate ed una serie di elementi ironici (e persino satirici quando si parla di politica) che alleggeriscono la tensione. Come nel caso dell'esilarante trovata per la quale gli statunitensi sono costretti ad evacuare le loro abitazioni e a dirigersi verso sud, e si ammassano al confine del Messico, che con malcelata soddisfazione decide (inizialmente) di chiudere le frontiere così come fatto dagli Usa nei loro confronti per anni.
Quel che invece rimane costante rispetto ai già citati film di Emmerich è il gusto per le maestose ed inquietanti scene di distruzione, realizzate in maniera più che efficace dal punto di vista tecnico e spettacolare, e l'iconoclastia per la quale i simboli della civiltà americana (e quindi occidentale) sono devastati dalla furia della Natura: dai tornado che portano distruzione a Los Angeles, non risparmiando nemmeno la mitica scritta di Hollywood, ad una New York semisommersa dalle acque prima e gelata poi, con i suoi edifici simbolo e la Statua della libertà che emergono timidamente dai ghiacci e dalle nevi.
Nel complesso The Day After Tomorrow conferma tutte quelle che potevano essere delle legittime aspettative al riguardo: è un film che regala un paio d'ore di solido e convincente intrattenimento, supportate un cast efficace ed "in parte": su tutti un Jake Gyllenhaal che conferma le sue potenzialità, il solito Ian Holm, che gestisce con classe un ruolo che è poco più di un cammeo ed un Dennis Quaid misurato e più espressivo del solito. Il film è persino in grado di far sorridere con la sua sottile ironia, soprattutto quando si tira in ballo la politica degli Stati Uniti nei confronti delle problematiche ambientali - con un vicepresidente a stelle e strisce che pare tanto il ritratto di quello vero. E veicola comunque un positivo e giustificato messaggio "ambientalista" senza voler proporsi però come strumento evangelico o come detentore della verità assoluta, rispettando implicitamente (ed intelligentemente) le indubbie differenze tra verità o teorie scientifiche e finzione cinematografica.