Avete presente quando ci si sente talmente leggeri da camminare uno, due, tre metri sopra terra? E se questa metafora, questo modo di dire corrispondesse al reale, se davvero si fosse in grado di fluttuare e di vivere senza le zavorre imposte dalla gravità? È così che apriamo questa recensione di L'uomo senza gravità, terzo lungometraggio di Marco Bonfanti che vuole essere un inno al diritto della spensieratezza, che si alterna tra fiaba e realtà, che sviluppa la sua narrazione tra le ambientazioni del sogno e della realtà concreta. Un film che esercita il suo diritto ad essere diverso e non per questo strambo, e ad essere semplice e spensierato na non per questo semplicistico o sempliciotto.
Una trama come un palloncino senza gravità
L'uomo senza gravità segue la storia di Oscar, interpretato da Elio Germano, a partire dalla sua nascita fino all'età adulta: una persona che rivela subito il suo istinto. Oscar nasce in una di quelle notti tutte fulmini e tempesta, in un piccolo ospedale di paese e subito si intuisce che c'è qualcosa di straordinario in lui: il piccolo, infatti, non si attiene alle normali leggi di gravità. Sin dalla sua venuta al mondo comincia a fluttuare come quei palloncini colorati pieni di elio che rimangono vicini a noi solo se trattenuti da un filo sottile.
Sia la madre del piccolo che la nonna, sebbene rimangano sbalordite da questo esserino davvero speciale, decidono di fuggire e di tenere nascosto il neonato agli occhi di tutti per diversi anni, tenendolo lontano anche dalla piccola Agata, l'unica bambina del paese in cui vivono che conosce e apprezza la particolarità di Oscar.
Una storia di diversità e di impedimenti
Ciò da cui parte L'uomo senza gravità è la volontà di mostrare una storia semplice, ma di grande impatto: quella di un essere umano destinato a fluttuare come un palloncino colorato scappato dalla mano di qualche bambino. Certo, all'inizio si rimane straniti, addirittura ci si rimane male quando ciò che pensavamo di avere ancorato a noi inaspettatamente prende il volo e non si può fare altro che guardarlo, sempre inaspettatamente, mentre si erge fiero, libero, così magnifico nella sua semplicità. Una descrizione che si adegua sia ad un palloncino, sia ad essere umano come Oscar.
Ma se il palloncino segue il suo destino perché è normale che sia così, perché non dovrebbe essere lo stesso per Oscar? Solo perché è l'unico diverso della sua specie? Eppure, nonostante la sua semplicità e la voglia di essere se stesso, si trova sempre a dover fare i conti con la vita che gli riserva solo dei contrasti: la sopraffazione, la pesantezza di un mondo con individui sempre pronti a vedere gli altri in maniera opaca e senza la possibilità di concedersi una cosa tanto semplice, quanto efficace come la leggerezza. Che non si intende solo quella gravitazionale, ma quella intrinseca, quella mentale più che corporea, quella volontà di vivere finalmente a colori e di scoprire sfumature sempre nuove via via che si presentano.
Lavorare in sottrazione per una maggiore leggerezza
Per concentrare maggiormente l'attenzione sulla questione della leggerezza, al fine di renderla protagonista assoluta del film di Marco Bonfanti, si è lavorato in sottrazione, sia per quanto riguarda il contesto registico e che per quello narrativo. Questo lavoro lo si potrebbe considerare frutto di una ricerca, di un esperimento sul linguaggio non verbale che contraddistingue Oscar che, per tutti i suoi 40 anni di vita, non fa altro che relazionarsi con gruppi sociali più intimi, come la famiglia e il paese d'infanzia, e di portata enorme come la città, il mondo, i media, per poi finire con il mondo degli emarginati e del rapporto esclusivo di coppia.
Un modo, questo, sia per Oscar che per il film stesso, di rompere quel filo che tiene legati ai pregiudizi, alle opinioni preconfezionate pronte per essere utilizzate come munizioni e per sparare a zero. Lo specchio di un mondo moderno che dovrebbe guardare all'integrazione e che finge di farlo mentre, là fuori, c'è un uomo che si trova a combattere contro un mondo pronto a storcere il naso o a osannarlo per i propri interessi, come se fosse un novello Dumbo messo alla gogna di un circo mediatico per mero scopo di lucro e non per ammirarne la sua libertà in quanto anima e in quanto persona.
Conclusioni
In conclusione alla recensione di L'uomo senza gravità, è doveroso sottolineare la volontà di raccontare una storia semplice e, allo stesso tempo, di grande impatto, che si fa portatrice di tematiche come il rapporto con il diverso in una società che dovrebbe essere inclusiva e che, invece, dimostra tutt'altro. Un film che si fa specchio di un mondo moderno egoista e saturo di pregiudizi.
Perché ci piace
- Il fatto di trattare la leggerezza come una virtù e non come una debolezza
- Il lavoro di sottrazione per esaltare il tema del diverso e dei continui scontri che, nel presente come nel passato, si è costretti ad affrontare per sentirsi liberi
Cosa non va
- La recitazione dei protagonisti è molto contenuta, con il freno a mano tirato, stucchevole e apparentemente senza troppo sentimento